Sezze, località Suso, 2021. Giornata di recupero della cultura tradizionale sezzese.
A cura dell’Ass. Colli tutto l’anno, con la collaborazione di: Libera Università della Terra e dei Popoli, Ass. Memoria Storica di Sezze, Ecomuseo dell’Agro Pontino.
Nunziatina spiega e mostra ai più giovani come si fanno le “paste di visciola” (le apprezzatissime crostatine con la marmellata di visciole), le “paste di mandorla”, il calascione e le fettuccine tirate a mano. La figlia Antonella Costantini e diverse donne sezzesi, tutte in abito tradizionale, aiutano Nunziatina.
Video: Roberto Vallecoccia. Musiche e canti: I desperados.
Si è tenuto oggi in webinar 8 febbraio 2022 il “Laboratorio di condivisione del Programma d’Azione del Contratto di Fiume Ufente”, a cui hanno partecipato la Libera Università della Terra dei Popoli, l’Ecomuseo dell’Agro Pontino e l’associazione Memoria Storica di Sezze. Hanno coordinato e condotto l’incontro: Serena Muccitelli (U-Space srl), Lola Fernandez (Assessore Attività Produttive – Comune di Sezze), Stefano Magaudda (U-Space srl). Sono state in seguito rapidamente visionate le schede prodotte da enti e associazioni locali. Nei prossimi giorni le schede saranno oggetto di revisione in vista della firma dell’Accordo di Programmazione Negoziata prevista per il 23 febbraio 2022 presso la sede della Provincia di Latina.
Ma soprattutto era pieno di questa gente qui dei monti Lepini e del Lazio: Sezze, Cori, Norma, Sermoneta, Bassiano, Priverno, Sonnino e poi della provincia di Roma e della Ciociaria, Alatri, Ceccano, Ferentino, Rieti, Viterbo. Tutti venuti qui a lavorare, e quelli dei monti Lepini – quando dopo un po’ di chiacchiere i miei zii hanno detto finalmente chi erano – tutti subito con il dente avvelenato. Come saputo difatti che non eravamo operai come loro sui cantieri o sui canali, ma coloni venuti a risiedere stabilmente nei poderi già costruiti e bonificati da loro, manca poco e si ripigliano il posto sulla panca che ci avevano lasciato prima: «Cispadani di qua! cispadani di là!» hanno cominciato. Lì per lì i miei zii non hanno capito: «Ma che vorranno dire con questo cispadàn?». E mio zio Iseo ha proprio chiesto piano all’orecchio a mio zio Adelchi, che aveva studiato: «Casso signìfichelo cispadàn?». «Casso vòtu che ne sàpia mì?» Per non restare indietro però – perché a mio zio Adelchi, ma diciamoci la verità, un po’ a tutti i Peruzzi, di restare indietro non gli è mai piaciuto con nessuno – e capito comunque che questo “cispadani” non doveva essere, nei loro intendimenti, esattamente un complimento, gli ha detto lui subito: «Ma bruti marochìn, casso vulìo da nantri?». «I poderi, voi ci avete rubato i poderi!» Ora però bisogna dire che qualche minuto prima – prima che si scaldassero gli animi con questa storia dei cispadani e che quelli ci riconoscessero, o credessero di riconoscerci nei presunti ladri dei loro ancor più presunti poderi – c’era già stata un’altra piccola discussione su questa Littoria e sui suoi tempi di costruzione. E uno di questi dei monti Lepini – uno di Sezze – aveva detto con scherno, lasciando capire di non essere esattamente un fascista della prima ora: «Sta bene Mussolini a volerla venire a inaugurare a dicembre. E che inaugura, le ranocchie?». Zio Pericle s’era risentito allora, e aveva detto: «Non star parlare acsì. Se il Duce ha detto che a dicembre l’è finida, a dicembre la sarà finida. Firmato Pericle Peruzzi, orcocàn» e aveva pure sbattuto la mano sul tavolo. «Ah, va bene! non ti arrabbiare» avevano fatto subito queglialtri cambiando discorso – anche perché in quel momento stava proprio passando davanti alla panca la ronda di due carabinieri – mentre mio zio Pericle però già si diceva da solo: «Ma che casso m’è vegnù da dire?». Pure i fratelli-Adelchi ed Iseo – lo avevano guardato con la faccia stralunata come a dire: «Pericle!». Non gli avevano detto niente ovviamente, perché quello era Pericle ed era meglio non dirgli niente, però lo avevano guardato strano e lui aveva capito: «È meglio che sto zitto va’, che la figura l’ho già fatta». Quando però quelli hanno detto «Cispadani!» e mio zio Adelchi «Marocchini!» e quelli di nuovo «Ladri di poderi!», mio zio Pericle non ci ha visto più, ci ha messo insieme l’incazzatura per l’inaugurazione decembrina – «A fémo tuto un conto, va’» – s’è alzato in piedi e al di là del tavolo, al sezzese che aveva proprio di fronte, ha detto: «Ritira la parola, marochìn!». «Ma che ritiro? Il cazzo che ti si frega ritiro, cispadano d’un polentone.» «Pam!» mio zio è partito con un cazzotto e s’è tuffato di là dal tavolo. Subito ci si è lanciato anche zio Iseo. Un po’ di sezzesi si sono buttati su zio Adelchi. Un gruppo di coloni come noi – sbarcati pure loro da queste parti pochi giorni prima, e in visita anche loro al cantiere misterioso di Littoria – avendo sentito strillare cispadani di qua e marocchini di là e nutrendo il sensato sospetto che la questione potesse in qualche modo riguardarli, si sono buttati in mezzo pure loro. Sono arrivati i pecorai di Guarcino però – dalla parte degli altri – ed è stato un casino generale. «Fermi!» gridavano gli osti: «Fermi che arriva la Forza», ossia i carabinieri. «Fermo un corno» gridavano i velletrani, e giù botte pure loro addosso ai nostri. Mio zio Adelchi – che nel corpo a corpo non era mai stato così bravo come mio zio Pericle, e sempre, tutte le volte che s’erano presi, le aveva prese lui – non s’è preoccupato dei cazzotti che gli arrivavano da ogni parte sul groppone e nemmeno ha pensato a restituirli se non con qualche zampata o pugnettino di circostanza. Lui l’unico pensiero che aveva in mente durante questa temperie era: «La bicicletta! Non vorrei che con questo casino qualcuno mi fregasse la bicicletta». E s’è diretto lentamente là, con la folla degli assalitori che lentamente – sgrugnandolo – lo seguiva. Appena però ci è arrivato e ha sentito la canna della sua bicicletta tra le mani, allora – e i miei zii lo hanno raccontato per anni – allora il Leone di Giuda si è scatenato. Pareva Sansone con la mascella d’asino – Achille sotto le mura di Troia, preso dalla sua ubris – e vorticava quella bicicletta intorno a sé come una spada celeste, facendo strage dei nemici e terrorizzandoli ulteriormente con lo strepito delle urla aguzze: «Ladro a mi? Ladro de podéri a mì? Andè via, marochìn mangiamerda marocàssi! che Dio ve stramaledìssa tuti quanti!». E quelli indietreggiavano. Lei doveva vedere come indietreggiavano. Certe biciclettate tirava quel giorno – ossia quella notte – mio zio Adelchi, che manco con Durlindana in mano. Tanto che zio Pericle – vedendolo da lontano mentre lui andava spartendo a destra e manca calci, cazzotti e coltellate secondo la bisogna – s’era detto: «Ma varda tì l’Adelchi». E s’era sentito un moto nel cuore proprio come quella volta che voleva sparare al fattore degli Zorzi Vila – «At cópo! Dove sì ch’at cópo?» – un moto di profondo amore anche per questo fratello qua: «L’è dei Peruzzi, l’è mè fradèo quel là!». E quando a un certo punto ha perso il coltello e doveva fare oramai solo coi pugni contro tutta quella ressa, ha copiato dal fratello, ha schiodato una mezza palanca da un tavolo e ha cominciato a mulinare anche lui con quella, recuperando lo svantaggio. «La Forza, la Forza!» s’è messo però a strillare a un certo punto un oste e si sono visti quei due carabinieri e un po’ di camicie nere della milizia che arrivavano correndo. Il tumulto s’è sedato all’istante. I miei zii hanno fatto finta di niente, cercando solo di sgattaiolare con le loro biciclette. Mio zio Adelchi ansimava. Ogni tanto ruggiva un «Marochìn!», la bici ancora a mezz’aria. «Tasi, bestia» gli diceva ridendo zio Iseo: «Vòtu farne carcerare?» mentre se lo tirava via, facendogli finalmente posare le ruote della bicicletta sulla terra. Uno dei sezzesi – andandosene anche lui – senza farsi sentire dai carabinieri disse a zio Pericle: «Ci rivediamo». «Sempre pronti» rispose piano piano, ma netto, mio zio: «Firmato Peruzzi, podere 517, Canale Mussolini. A disposisión». Bel match e danni lievi, comunque. Giusto qualche graffio. Coltellate di striscio. «Canchero» disse però poi la moglie a zio Pericle nel letto quando – facendo l’amore – ad ogni suo minimo gesto o carezza, lui non faceva che fremere: «Non star tocàrme là, non star tocàrme qua, che me fa màl». «Canchero d’un tacabrìghe» allora, graffiandogli più forte la schiena. Dopo però, calmata e prima di dormire: «E a mì, domàn, am tocherà de novo da dovér ramendàr ‘l pastràn» il pastrano, che s’era preso lui il grosso delle coltellate. Ma anche quelle di zio Pericle dovevano essere andate tutte a segno così, senza danni gravi per i marocchini.
[Antonio Pennacchi, Canale Mussolini, pp. 238-241]
Antonella Costantini, referente dell’antenna ecomuseale di Sezze e responsabile dell’Associazione “Colli tutto l’anno”, ci informa sulla tradizione dell’ottagòla.
“Si cercava di raccogliere le ciliegie con il picciuolo doppio – racconta – e si iniziavano ad intrecciare ad un ramo, si faceva in modo che venisse bella compatta senza lasciare spazi vuoti. La ottagola generalmente veniva fatta dai ragazzi, per poi portarla in regalo alle proprie fidanzate. A me hanno insegnato a farla i miei genitori. La tradizione è particolarmente viva nella frazione di Suso, nel comune di Sezze”.
A Sezze chi sa ancora fare l’ottagola l’ha imparato dai genitori o dai nonni. L’ottagola veniva regalata dai ragazzi alle fidanzate, ma c’è chi ricorda che veniva donata anche alle maestre.
Resta poco chiara l’origine del termine “ottagòla” (ma alcuni dicono “ottacòla”). Si fa riferimento al numero “otto”, a “ora” o ad altro? E poi ha a che vedere con la “gola”? Chiediamo alla comunità setina (e non solo) di aiutarci a risolvere la questione, fiduciosi che qualcuna o qualcuno saprà illuminarci sull’etimologia di una tradizione ancora oggi tanto amata.
Nei paesi collinari dei Monti Lepini e Ausoni i dolci pasquali hanno una lunga tradizione. Si dividono in due grandi gruppi: dolci lievitati con lo stesso impasto delle ciambelle cresciute (o ricresciute), ma con la caratteristica sagoma di “pupa” (la bambolina) o di “cavalluccio”; dolci a base di ricotta, senza farina. Abbiamo raccolto alcune ricette da nostri informatori residenti nei paesi di Sermoneta, Cori, Sezze e Sonnino. Ringraziamo tutti per la preziosa e amichevole collaborazione, buona pasqua e buoni impasti.
CORI: “Torta di ricotta corese” (ricetta di Caterina Pistilli)
Per Pasqua, non può di certo mancare la torta di ricotta della tradizione contadina del mio paese. Una vera squisitezza nella sua semplicità, aromatizzata da rum, vaniglia, caffè e cannella, che danno a questa torta un sapore e un profumo che mi riportano lontano nel tempo. Un tempo che profumava di semplicità, di cose fatte con il cuore, di voci di donne che risuonavano nei vicoli del mio piccolo paese. Di vaniglia e di cannella, che impregnavano l’aria. Quando da ragazza ero aiutante nel negozio di generi alimentari di mia mamma e le nostre clienti venivano ad acquistare tutti gli ingredienti, le loro voci coloravano e animavano la piccola bottega, discutendo talvolta sul procedimento o altresì sulle dosi degli ingredienti da utilizzare. Ingredienti che sono per lo più ad occhio come tradizione vuole.
DOSI 1 kg di ricotta di mucca o di pecora 500 grammi di zucchero 5 uova 3 cucchiai di caffè in polvere 150 grammi di cioccolato fondente grattugiato Una fiala di aroma vaniglia Due fiale aroma rum 3 cucchiaini di cannella in polvere
PROCEDIMENTO In una planetaria o a mano unire la ricotta allo zucchero. Incorporare le uova una alla volta. Aggiungere tutti gli ingredienti. Assaggiare (anche da cruda è buonissima) e sistemare l’impasto in una teglia. Cuocere in forno preriscaldato a 180 gradi per circa 30 minuti Quando la superficie sarà dorata la torta sarà pronta. La torta si conserva in frigorifero per 4 o 5 giorni
Torta di ricotta corese realizzata da Caterina Pistilli
SERMONETA: “Torta di ricotta sermonetana” (ricetta di Adele e Gloria Monti) È un dolce tipicamente sermonetano, di solito si prepara per la Pasqua.
DOSI. 1 kg e ½ di ricotta 15 uova (se la ricotta è asciutta), 7/8 uova (se la ricotta è umida) 4 etti di miele 1 bicchierino di sambuca Cannella q.b. per una spolverata
PROCEDIMENTO. Impastare la ricotta con le uova e il miele solo e rigorosamente a mano. Non usare lo sbattitore, perché crescerebbe troppo l’impasto. Aggiungere la sambuca e continuare a impastare. Sistemare l’impasto in una teglia. Cuocere in forno a 180 gradi, per circa 40 minuti. Sfornare e spolverare con la cannella.
Torta di ricotta semonetana
CORI: “Pupe e cavagli” (ricetta di Caterina Pistilli)
Dolce della tradizione contadina, molto semplice e poco goloso. Veniva preparato durante la settimana della Pasqua dalle mamme come regalo per i loro figli, ognuno avrebbe avuto il suo. Simbolo di prosperità e abbondanza. Mia mamma mi racconta che lo ricevevano in dono la domenica di Pasqua e lo mangiavano il giorno dopo, a Pasquetta. Lo portavano con sé nella scampagnata nei campi. Mia nonna per i figli maschi faceva il ferro di cavallo, molto più semplice da realizzare, ma lo stesso molto gradito. Venivano cucinati nei forni a legna del paese, poiché non tutte le abitazioni avevano il forno a disposizione. Ogni donna preparava il dolce nelle proprie abitazioni e poi, tutte insieme, andavano, con i testi appoggiati sopra la testa su una corona formata da un grosso fazzoletto, al forno del quartiere a cucinarlo. Io ho voluto riprendere questa tradizione saltando la generazione di mia mamma, lei non li ha mai realizzati. Ho imparato dalla ricetta della famiglia di mia suocera e di sua sorella, zia Giustina. Ora per le mie figlie è un classico, lo pretendono ogni anno e a me fa molto piacere accontentarle. Anche se effettivamente è un dolce poco goloso e molto semplice, ottimo per la colazione, pucciato nel caffè latte.
DOSI. 4 uova intere 10 g di bicarbonato di sodio 20 g di cremore tartaro 4 etti di zucchero 1/2 bicchiere di olio 1/4 di latte Arancia grattugiata Liquore a piacere, circa un bicchierino da caffè Un kg di farina 00 Confettini colorati per decorare e zucchero Semolato
PROCEDIMENTO In una ciotola o nella planetaria incorporate le uova con lo zucchero, poi il latte, l’olio, il liquore e la scorza di arancio. Unire il cremore tartaro e il bicarbonato e poi la farina poco alla volta. Lasciare l’impasto amalgamato e morbido il giusto per poterlo lavorare con le mani per fare le pupe. Io mi aiuto con il cucchiaio. A cucchiaiate formare due sagome per la testa e per il corpo direttamente su carta forno in teglia, mettendo poco impasto perché lievita moltissimo. Per fare i capelli e tutti i particolari fare l’impasto più duro e aggiungere il cacao per differenziare i particolari. Fondamentali sono le sisotte e l’uovo legato a forma di croce. Appena formate le sagome, spennellare la superficie con uovo battuto o latte freddo in modo da fare attaccare i confettini e lo zucchero semolato. Cuocere in forno caldo a 180 gradi per circa 30 minuti finché non sono dorate. Unica raccomandazione: cercare il più possibile di mantenere l’impasto morbido per renderlo anche piacevole al gusto. Con queste dosi vengono 3 pupe piccole e 2 cavalli.
Pupe e cavaglio realizzato da Caterina Pistilli (Cori)
SONNINO: “Pupa e cavagliuccio” (ricetta di Francesco Verdone, detto “Ciccio”)
Pupa e cavagliuccio sono due dolci tipici della cucina sonninese che si regalavano ai bambini per il giorno di Pasqua. Oggi ci sono uova di cioccolato e colombe e quasi nessuno li fa più.
Per tener viva la tradizione Maurizia De Angelis (che ringraziamo), membro della Pro-Loco di Sonnino, presidente dell’Associazione Fra-Menti e referente locale dell’Ecomuseo dell’Agro Pontino, si è recata presso il laboratorio di Americo Leoni, in pieno centro storico, e ha intervistato il pasticciere Francesco Verdone, conosciuto da bambino come “Ciccino”, che ha spiegato come realizzarli. “Ciccino” è il figlio di Maria Grazia, nota in paese come “la fornara”, perché era proprietaria del forno della zona della Brigata a Sonnino. Maria Grazia ha lasciato in eredità al figlio il suo sapere acquisito in decenni di esperienza.
Qui il video in cui Maurizia De Angelis dialoga con il pasticciere Francesco Verdone. Le riprese sono state realizzate da Candido Paglia, che ringraziamo, del sito www.sonnino.info .
DOSI (in passato le quantità non erano misurate in grammi, ma in pugni o al massimo bicchieri) 5 uova 1 bicchiere di olio EVO 1 bicchiere di latte 2 bicchieri di zucchero 20 grammi di lievito di birra 1 pizzico di sale 1 bustina di vaniglia Semi di anice Sambuca Farina q.b. per l’assorbimento
Con lo stesso impasto si realizzano anche le ciambelle cresciute.
SEZZE: “Spaccatelli” (ricetta di Antonella Costantini ereditata dalla mamma Annunziata)
DOSI 12 uova 1 kg di zucchero 1 bicchiere di latte 150 grammi di strutto 1 limone grattugiato Farina (quanta ne serve)
PROCEDIMENTO Il procedimento è piuttosto semplice, non si ha bisogno di lievitazione. Impastare bene le uova, lo zucchero, il latte, lo strutto e il limone grattugiato con la farina, come per preparare una pasta frolla. Formare delle pagnottelle tondeggianti. Con un coltello fare un’incisione a forma di croce (x) sulle pagnottelle. Mettere in forno per mezz’ora circa.
SEZZE: “Tortoli” (ricetta di Antonella Costantini ereditata dalla mamma Annunziata)
DOSI 40 uova 1 kg e ½ di zucchero 1 bicchiere di sambuca ¼ di litro d’olio ½ litro d’acqua 1 limone grattugiato Una pagnotta di pasta di pane lievitata Farina (quanta ne serve)
PROCEDIMENTO Preparare un impasto con la pasta di pane lievitata e tutti gli altri ingredienti. Se l’impasto è troppo liquido, aggiungere altra farina. Non c’è una dose fissa di farina, ci si regola a seconda della consistenza dell’impasto, di quanto “tira l’impasto”. Preparare delle pagnottelle di pane e metterle a lievitare. La lievitazione dura circa 7/8 ore. Infornare e cuocere a bassa temperatura. Le pagnottelle devono cuocere molto lentamente per evitare che restino crude. In passato, si metteva di solito a lievitare di sera e la mattina del giorno dopo si infornava le pagnottelle.
Tortolo sezzese (Pasticceria “Bontà setine” di Laura e Loretta)
Trascriviamo ora le ricette dei dolci pasquali locali raccolte da Adriana Vitali Veronese nel suo volume Latina in cucina. Aromi e sapori antichi e nuovi, Latina 2013. Adriana è una collaboratrice storica dell’Ecomuseo dell’Agro Pontino.
Ciambelle di magro Comunissime in tutta la provincia per la Pasqua: 1 tazza di olio, 1 tazza di vino, 1 tazza di zucchero, 1 pizzico di cannella e farina quanta ne occorre per un impasto di giusta consistenza. Cuocere in forno a calore moderato. Qualcuno aggiunge anche un po’ di cacao per renderle più brune e anche semi di anice per renderle più aromatiche.
Ciammellone (Ciambellone) Di solito si prepara a Pasqua: 4 uova, 4 etti di zucchero, ¼ + ½ quarto di latte, 1 bicchiere medio di olio, una grattatina di buccia di limone, 1 bustina e ½ di lievito Pane degli Angeli.
Giglietti dolci di Pasqua 8 uova, gr. 600 di zucchero, 800 gr. di farina. Lavorare a lungo gli ingredienti. Prima solo le uova con lo zucchero. Con un cucchiaio prendere l’impasto e disporlo a forma di dischi distanziati sulla placca del forno unta. Cottura in forno a calore dolcissimo. Devono restare chiari.
Caciatella di Pasqua (Roccasecca dei Volsci) 1 kg. di ricotta, 4 uova, 4 cucchiai di zucchero, cannella. Buccia di limone grattugiata. Con questi ingredienti si fa una crema, lavorando bene la ricotta col cucchiaio di legno. Si prepara una sfoglia con farina e uova; si riveste una teglia e si riempie con la crema di ricotta. Si cosparge di zucchero e cannella. Si guarnisce con strisce di sfoglia, tagliate magari con la rotella, sino a formare un grigliato. Infornare.
Ciambelle ricresciute (Priverno, Roccasecca, Sezze – per Pasqua) 6 uova, 2 etti di zucchero, ½ bicchiere di olio, un pizzico di anice, un cubetto di lievito, limone grattugiato e farina quanta ne occorre per un impasto morbido. S’impastano gli ingredienti lavorando bene. Lasciare lievitare in ambiente caldo per un giorno intero. Rimpastare e formare le ciambelle. Disporle su una placca da forno unta e infarinata. Lasciare lievitare, in ambiente caldo, finché non sono ricresciute. Spennellare la superficie con uovo battuto per lucidare. Infornare. In occasione della Pasqua si sagomano queste ciambelle a forma di cavalluccio (per i maschietti) e a forma di pupazza (per le bambine) inserendo un uovo sodo nella pancia della pupazza: simbolo di buon auspicio e augurio di fertilità.
Caciata (Sezze) Viene preparato per la Pasqua. Ricotta kg. 1.500, condita con 3 tuorli e 1 uovo intero, buccia di limone grattugiata, 2 o 3 cucchiai di cognac o altro liquore profumato, poco zucchero e un pizzico di cannella. Amalgamare bene gli ingredienti che devono formare una crema, con la quale si farcirà una sfoglia di pasta frolla. Cospargere la superficie della crema di ricotta con una spolveratina di cannella (qualcuno preferisce cospargere caffè in polvere).
Giovedì 18 giugno 2020 è stato effettuato un sopralluogo al lago Muti (Sezze) a cui ha partecipato anche Antonio Saccoccio, presidente della Libera Università della Terra e dei Popoli. Il lago Muti si trova a pochi chilometri dalla sede della Libera Università della Terra e dei Popoli ubicata in località Cotarda e, grazie al lavoro svolto da Roberto Vallecoccia e dall’Associazione Memoria Storica di Sezze, si cercherà di mettere in atto un’interazione tra i due siti. Pubblichiamo il resoconto del sopralluogo.
Giovedì 18 giugno 2020 è stato effettuato un sopralluogo al lago Muti (Sezze). Erano presenti Giorgio Stagnaro (Direttore operativo di Acqualatina), Antonio Di Prospero (Vicesindaco del Comune di Sezze), Giancarlo Siddera (Assessore al patrimonio, all’ambiente e alle attività produttive del Comune di Sezze), Diego Mantero (Dirigente presso la Direzione regionale Capitale naturale, Parchi e Aree Protette della Regione Lazio), Roberto Vallecoccia (Presidente dell’Associazione Memoria Storica di Sezze), Antonio Saccoccio (Coordinatore tecnico scientifico dell’Ecomuseo dell’Agro Pontino), Antonio Pisterzi (Responsabile Rapporti con la Pubblica Amministrazione di Acqualatina), Roberto Petrocelli (Acqualatina). Obiettivo dell’incontro: mettere in campo le strategie migliori per recuperare, gestire e valorizzare il sito.
Dal 2011 l’Associazione Memoria Storica di Sezze inizia a collaborare con il vecchio direttore di Acqualatina Andrea Lanuzza e l’amministrazione Campoli per portare all’antico splendore l’area. Dal 2019 il progetto di valorizzazione è sostenuto anche dall’Ecomuseo dell’Agro Pontino, che, avendo tra i propri principali obiettivi lo sviluppo locale autosostenibile, guarda con grande attenzione al recupero di una zona di grande rilievo storico, naturalistico ed energetico. Da qualche mese, grazie all’interessamento della Regione Lazio, e in particolare di Ernesto Migliori (Responsabile settore Tutela e Valorizzazione dei paesaggi naturali e della geodiversità per la Regione Lazio e per l’Ecomuseo dell’Agro Pontino), del dirigente Diego Mantero, dell’Ecomuseo dell’Agro Pontino e dell’Ass. Memoria Storica di Sezze, si è avviato l’iter per inserire la zona umida tra i Monumenti Naturali del Lazio.
Il lago Muti prende il nome, come il vicino lago Pani, dai suoi vecchi proprietari e si può osservare in una curva del tratto dismesso della strada regionale 156.
Il sopralluogo inizia aprendo faticosamente un varco tra arbusti, rovi e canne, a testimonianza dell’attuale stato di abbandono del sito. Si intravede il lago Muti parzialmente coperto da ninfee; giunti all’impianto, ci accoglie un grosso cervone (pasturavacche) che si sta insinuando lentamente sotto un ponticello di legno, a pochi centimetri dall’acqua. Si entra nell’impianto guidati da Roberto Petrocelli. Si notano subito le ampie vasche di carico e più in basso le turbine del vecchio impianto idroelettrico, non più in funzione.
Le due macine furono in funzione fino al 1911, anno in cui il nuovo progetto della Società Elettrica Laziale fu affidato a Raffaele Lenner, progetto che a causa della guerra venne portato a termine solo nel 1922. Quindi Sezze nel 1922 aveva a disposizione 40Kw elettrici più acqua fornita dalle pompe a pistoni. L’impianto per la produzione di energia elettrica fu impiegato per l’illuminazione di molti edifici della città di Sezze prima di essere abbandonato (anni Settanta).
Si prosegue la visita degli altri locali interni, tutto sommato in buone condizioni, in cui si trovano anche alcuni arredi mai utilizzati. Questi locali e gli arredi saranno utili in futuro per le attività di ricerca ed educative, che si intende avviare una volta recuperato il sito.
Tornati all’aperto, Roberto Vallecoccia fornisce informazioni sulla zona umida circostante, che comprende anche il più esteso lago Pani e presenta un notevole interesse naturalistico dal punto di vista botanico (ninfee, calle, luppolo etc.) e avifaunistico (gruccione, martin pescatore, airone reale e airone cenerino, biancone).
In seguito è iniziato il confronto tra i partecipanti sui prossimi passi da intraprendere per il recupero dell’area. L’amministrazione comunale, la Regione Lazio e Acqualatina sono intenzionati a recuperare l’area esterna e i locali interni. Dello stesso avviso sono l’Ass. Memoria Storica e l’Ecomuseo. Il Comune di Sezze si è impegnato a rendere agibile la zona esterna per poi consegnarla in gestione all’Ass. Memoria Storica di Sezze. La Regione Lazio, nelle persone di Ernesto Migliori e Diego Mantero, proseguirà lo studio avviato per inserire la zona umida tra i Monumenti Naturali del Lazio. Si avvicina il momento in cui l’area dei laghi Muti e Pani tornerà all’antico splendore.