Conversazioni pontine: Angelo Fàvaro

Angelo Fàvaro è da oltre venti anni docente di materie letterarie nei licei della provincia di Latina e Roma ed è anche Professore incaricato presso l’Università “Tor Vergata” di Roma. Ha vissuto a lungo a Sabaudia, città con cui mantiene profondi legami, affettivi e culturali. Ricercatore e scrittore poliedrico, animatore culturale infaticabile e attento ai temi/problemi della contemporaneità, ha organizzato decine di convegni, giornate di studio, eventi nella città pontina e all’estero, sufficiente pensare al Convegno internazionale pirandelliano presso Salonicco o il Convegno internazionale per il quarantesimo anniversario dalla morte di Pasolini a Praga. Approfittiamo della sua disponibilità per una piacevole conversazione.

(Antonio Saccoccio) Buongiorno Prof. Fàvaro, lei è impegnato da decenni a Sabaudia sul fronte artistico e culturale. Partiamo con un risultato conseguito proprio quest’anno: Sabaudia è ufficialmente diventata “Città di Moravia”.

(Angelo Fàvaro) Sabaudia è la cittadina pontina più amata e rinomata dell’Agro, per numerose ragioni, che non è questa l’occasione per eviscerare, sufficiente riflettere sulla sua posizione, sulla sua architettura, sulla ricchezza antropologica e culturale dalla Fondazione ad oggi. Sono onorato e felice di averci vissuto dai miei tre fino ai trent’anni circa, e vi ho ancora domicilio. Sì, dal 2020 Sabaudia è ormai non solo nella vulgata, ma anche formalmente “Città di Moravia”, fra gli altri appellativi o epiteti che potrebbero connotarne la plurima vocazione. Da tempo, tento questa operazione, tutta squisitamente culturale e, finalmente, si è riusciti nel varo di un logo e nella formazione di un brand, per utilizzare la terminologia più esatta, che è stato registrato, presso la Regione Lazio. Adesso, Sabaudia può essere associata alla presenza dell’intellettuale, romanziere, critico Alberto Moravia, alle sue opere, al suo pensiero, al suo impegno ecologico, europeista e latamente umanitario. A trent’anni dalla scomparsa, scopo precipuo e specifico, dopo l’intitolazione di una piazza, è stato quello di continuare a far conoscere, valorizzare e diffondere il patrimonio di pensiero, di civiltà, d’arte e di letteratura contenuto nelle opere e insito, ormai iconicamente, nella figura-persona di Alberto Moravia.

Il logo ideato da Angelo Fàvaro e realizzato da Giovanni La Rosa, donato al Comune di Sabaudia.

(A.S.) Quale nesso fra un luogo, in questo caso Sabaudia, e un autore, Moravia?

(A.F.) Ho un’idea precisa. Io ritengo che ogni opera d’arte nasca in precisi contesti: situazionale, e mi riferisco alla situazione individuale di chi agisce creativamente, alla sua storia personale, a quel momento preciso della sua esistenza nel quale l’opera viene dapprima ideata e poi realizzata; epocale, ovvero storico, politico, sociale dell’epoca nella quale l’opera vede la luce e che ha fortemente sollecitato l’autore; infine, ambientale-naturale, ed è semplice intuire come senza la Roma del fascismo Moravia non avrebbe mai potuto immaginare quel capolavoro che è La romana, o senza l’esperienza dell’otto settembre e dell’autoconfino a Fondi sulle macere, non sarebbe mai stato scritto quello straordinario romanzo sulla guerra che è La ciociara. Egualmente ritengo che dall’esperienza a Sabaudia siano nati alcuni racconti de La cosa e de La villa del venerdì, in parte anche tutta l’ultima produzione dello scrittore, anche se della cittadina pontina non c’è alcun cenno. Inoltre, nel 1980, Moravia stesso aveva dichiarato: «Il mare che amo? Quello del Circeo, quello di Sabaudia, non ancora turistica e non ancora mondana e, particolare importante per chi lavora, distante un’ora e mezzo di macchina da Roma».

(A.S.) Anche se giova rimembrare che il suo primo interesse, rispetto a progetti e convegni, era stato rivolto a Pasolini, se non erro.

(A.F.) È corretto, invero, ho organizzato tre giornate di studi dedicati a Pier Paolo Pasolini, tutte con il medesimo titolo: “Un sordo sottobosco dove tutto è natura…”, nel 2005, nel 2006, nel 2007, ma soltanto della prima sono stati stampati gli atti. Non si potrebbe nemmeno immaginare di parlare di cultura e di letteratura a Sabaudia senza ricorrere a Pasolini, Moravia, Maraini, Bertolucci, Tornabuoni, Siciliano, Schifano, Stanislao Nievo, Emilio Greco, Lorenzo Indrimi, Igor Man, Gabriella Sobrino, ancora oggi Rodolfo Carelli… la lista è ancora lunga.

(A.S.) Esattamente dieci anni fa lei ha curato a Sabaudia un importante convegno internazionale: “Alberto Moravia e gli amici”. Ci può parlare degli esiti di quella giornata di studi, di queste amicizie, anche in relazione al ruolo giocato dalla città di Sabaudia?

(A.F.) Sul lungomare di Sabaudia, c’è una villetta bifamiliare con due grandi finestre, come due occhi, ormai sovente serrati, rivolti alla duna, fra mare e cielo. Osservando dalla strada, il lato destro era stato fatto edificare per Pasolini, il sinistro per Moravia. Entrambi avevano scoperto la cittadina pontina sul finire degli anni Sessanta, e per ragioni differenti ne erano rimasti affascinati: a Moravia sembrava di assaporare qualcosa della “sua” Africa; a Pasolini, invece, pareva di riscoprire qualcosa di umano e di non conformista, nonostante il progetto fosse stato approvato in epoca fascista e la città edificata in poco più di trecento giorni, con una inaugurazione fascistissima. Pasolini fu ucciso proprio poco prima della conclusione dei lavori della bifamiliare, nel 1975; Moravia al contrario vi soggiornò lungamente d’estate, ma anche in primavera e in autunno, raramente d’inverno; quel mattino del 26 settembre 1990, nel quale fu trovato morto nella sua abitazione a Lungotevere della Vittoria 1, a Roma, avrebbe dovuto recarsi a prendere delle scarpe rimaste lì a Sabaudia, accompagnato da Dacia Maraini. Mi piace pensare che, mentre si radeva, stesse ripercorrendo mentalmente il tragitto e tutto quel che avrebbe voluto fare prima di tornare a Roma, magari accarezzando l’idea, se il tempo fosse stato ancora piacevole e caldo, di rimanere qualche giorno al mare.
Quando ho, dunque, progettato quel convegno internazionale, avevo in mente, diciamo scientificamente tre direttrici, ancora insondate in questo ambito: in primo luogo un autore come Moravia, che aveva attraversato da protagonista il XX secolo, aveva assegnato un’importanza essenziale all’amicizia, ai rapporti con sodali giovani, a volte giovanissimi, a ritroso, quando egli stesso era poco più che ventenne con uomini e donne a volte di età molto lontana dalla sua, penso a Benedetto Croce o al critico d’arte Bernard Berenson; in secondo luogo avrei voluto sfatare l’idea del “Clan Moravia”, ovvero di una rete di relazioni fondate su reciproci favori e su un diffuso opportunismo; infine, in terzo luogo, avrei voluto offrire uno strumento di riflessione squisitamente letteraria: la relazione amicale come motivo di interscambio di idee e di progetti, come confronto, penso a Calvino che incontra Moravia, alla fine degli anni Cinquanta, e ritenendo ripetitivi e ormai esaurita la vena dei Racconti romani gli dice «Ma quando la pianti?».
Sabaudia è stata un collettore di incontri, di rapporti, di amicizie per Moravia: Dacia arredò la villetta, lunghe e piacevoli le conversazioni con Bernardo Bertolucci, Dario Bellezza, sovente ospite di casa Moravia, ultimi ma non ultimi, fra i molti ospiti, Gianni Barcelloni-Corte, Enzo Siciliano e Alain Elkann, che proprio fra Roma, Sabaudia e Parigi compose con Alberto la Vita di Moravia. Il romanziere romano aveva compreso che la pace, l’atmosfera, la dolcezza climatica e il garbo di Sabaudia e dei suoi abitanti erano gli ingredienti perfetti per la conversazione, lo scambio intellettuale e umano, necessari all’amicizia e non meno alla scrittura.

René de Ceccatty, autore di una biografia di Moravia e tra i relatori al convegno di Sabaudia, fotografato davanti alla villetta dello scrittore romano.

Una nota non troppo marginale: a Sabaudia, nella porzione pasoliniana della bifamiliare, soggiornava Graziella Chiarcossi, cugina di Pasolini, e sua ospite era una lettrice di spagnolo alla «Sapienza», dopo esserlo stata all’università di Palermo, Carmen Llera: era il 1982, la giovane donna, appena ventinovenne, voleva intervistare Moravia per completare la sua tesi su Luis Buñuel, era alla seconda laurea. Galeotti furono quel mare, quella duna dorata, quella cittadina immersa nel verde: Moravia si innamorò perdutamente di quella seducente, colta, misteriosa spagnola. Nel 1986, il matrimonio, non prima che lo scrittore de Gli indifferenti le avesse dedicato la raccolta di racconti La cosa.
Lo scorso anno, inoltre, ho curato un importante progetto moraviano sul tema dell’indifferenza: a novant’anni dalla pubblicazione del romanzo si è svolto a Sabaudia un dibattito con alcuni noti intellettuali, fra i quali Gianni Cuperlo, Giulio Ferroni, Annamaria Andreoli, Rino Caputo.
A Sabaudia, ho altresì tentato di affrontare e considerare la categoria del “conformismo”, che Moravia aveva già esaminato nel romanzo Il conformista (1951), film nel 1970 per la regia di Bernardo Bertolucci, ma che Pasolini ha egualmente sondato in romanzi, poesie, film. Il 26 e 27 febbraio 2015 ho organizzato un convegno internazionale dal titolo Moravia, Pasolini e il conformismo, che ha avuto un interessante conclusione a Casarsa, la cittadina friulana amata da Pasolini, il 21 marzo dello stesso anno. Dagli stimolanti interventi e dalle sollecitazioni successive nel 2018 ha visto la luce un volume miscellaneo sul medesimo argomento.

(A.S.) Un rapporto privilegiato lo aveva senz’altro con Piero Paolo Pasolini, con cui condivideva anche la già menzionata villetta al mare.

(A.F.) Pasolini e Moravia furono amici, più che amici, fratelli, o… in una relazione indefinibile secondo le categorie comuni: si potrebbe pensare ad un rapporto padre-figlio, ma dove il padre sovente giocava il ruolo del figlio, e il figlio quello di un padre risoluto e censorio, quando non proprio di severo rimprovero. A Sabaudia, prima di edificare la bifamiliare, furono ospiti nella villetta Antonelli: lavorano, parlavano, discutevano. Un’estate del 1970: Alberto aveva scritto un soggetto, Abramo in Africa; Dacia e Pier Paolo lavoravano alla sceneggiatura, con zelo e con precisione, discutendone animatamente, mutando in parte il saggetto orIginale. Nel 1973, Gianni Barcelloni, dopo vari sopralluoghi e ricerche, finalmente portava nelle sale quel capolavoro, quasi dimenticato. Un film “scritto” e pensato a Sabaudia, per parlare del neocolonialismo e dello sfruttamento in Africa.

(A.S.) C’erano luoghi che Moravia preferiva a Sabaudia? Luoghi che frequentava abitualmente?

(A.F.)  Sì, Moravia trascorreva lunghe ore al Bar Italia, seduto al suo tavolino, sorseggiava bevande analcoliche, conversava con gli amici, leggeva i giornali, non amava mettere autografi sui libri, né che gli si facessero domande personali, i sabaudiani sono sempre stati rispettosi. Andava a comprare il pesce nella pescheria, che era esattamente collocata dove oggi si trova, in Piazza Santa Barbara, una cantina di ottimi vini locali. Quasi ogni giorno, si recava ad acquistare nella tabaccheria-cartoleria Scavazza pennarelli neri e blocchi ad anelli. Si fermava per la spesa quotidiana di generi alimentari da Rossetti o da Scarton. Entrava qualche volta anche dalla signora Eufemia, che gestiva una notissima bottega di ferramenta, non saprei esattamente cosa vi acquistasse. Camminava sorreggendosi ad un bastone, passeggiando verso la chiesa e arrivava fino all’edificio della Maternità e Infanzia. La presenza di Moravia a Sabaudia è stata una presenza reale, concreta, tutti lo conoscevano e lo salutavano, non rimaneva, con gli odierni “vip” o intellettuali, chiuso nella sua villa o soltanto a passeggiare sulla spiaggia, che comunque amava, ma viveva la città; tutti si potevano intrattenere con lui brevemente, perché era impaziente.

(A.S.) Tra l’altro lei incontrò anche personalmente Moravia…

(A.F.) Ho incontrato numerose volte il romanziere a Sabaudia, come tutti del resto, e diciamo che ho “parlato” con Moravia direttamente in due sole occasioni. Sono ricordi personali, dunque in alcun modo significativi rispetto agli studi o alla ricerca letteraria. Era il 1983, avevo sedici anni, ed ero in competizione con una mia compagna di classe, Titti: il mio desiderio più grande sarebbe stato poter conoscere Italo Calvino, avevo letto tutto quel che aveva scritto, il mio testo preferito era la raccolta di racconti Le cosmicomiche; al contrario la mia amica, che vive ancora a Sabaudia ed è un’ottima primaria del pronto soccorso di un ospedale, era un’appassionata lettrice di Moravia e diceva di conoscere Calvino. La sfida era semplice: tu mi porti l’autografo di Moravia e me lo presenti, ed io ti faccio conoscere Calvino. Era un giorno di fine giugno, gironzolando per il centro, vedo Moravia al Bar Italia: mi faccio coraggio, nonostante fosse accigliato e molto concentrato a scrivere su un blocco, mi avvicino. Attendo qualche istante che si accorga di me, e quando mi osserva, prontamente saluto con un quasi urlato “buon pomeriggio”. Era noto fosse un po’ sordo. Lui secco: «Chi sei? Cosa vuoi? Perché stai lì impalato?» vedo che fa fatica a mantenersi serio. Sorrido, e rispondo sempre a voce bene alta: «Mi chiamo Angelo Favaro. Sono uno studente del liceo classico. Sono qui perché c’è una mia amica…» non mi fa terminare la frase. Interviene: «Amica? Una donna?» Rispondo: «Sì, una mia amica, che vorrebbe conoscerla, non so se…». Prende in mano il bastone che aveva accanto alla sedia di platica del Bar Italia, e lo alza e comincia a sbatterlo sul tavolino: «Basta con le donne! Basta! Vai via! E lasciami in pace. Stai lontano anche tu dalle donne» urla. Mi allontano sconsolato, per non essere riuscito a compiere la missione che non mi era parsa proprio impossibile. La seconda volta, è stata qualche anno dopo, forse proprio nel 1990, d’ estate. Era quasi sera, mi trovavo a passare nei pressi dell’ancora, correvo ad una riunione in parrocchia. Lui camminava con due amici nella direzione opposta. Uno dei due amici teneva impilati alcuni libretti, di piccole dimensioni di un bel blu oltremare. «Fermati! Vieni qui!» si fa passare un libretto e me lo dona: «Tiè, te lo regalo, e leggilo. Non legge più nessuno, ma queste so’ poche pagine!» Prendo il libretto. Sorrido. E dico soltanto: «Grazie, no a me piace leggere. E tanto». «Ah, è perché allora non hai nulla da fare.» Avrei voluto rispondere e dire tutto quello che pensavo, ma ero già in ritardo alla riunione. Quindi ho soltanto salutato e sono corso via.

(A.S.) La sua attenzione non è dedicata solo alla Sabaudia del Novecento. Ricordo anni fa la sua partecipazione in prima linea al progetto “Villa di Domiziano: percorsi”. E un fondamentale convegno da lei curato, “Domitianus dominus et deus”…

(A.F.) Il Progetto Villa di Domiziano fu curato dalla dott.ssa Daniela Carfagna, e fu lei a coinvolgermi in un’avventura entusiasmante, culminata in tre volumi: gli atti di un convegno dedicato all’imperatore romano, una guida-percorso archeologico, una antologia poetica d’età domizianea, a mia cura ed in uno spettacolo teatrale, scritto, diretto e messo in scena da me proprio nel sito archeologico della Villa di Domiziano. Il territorio di Sabaudia è un territorio ricco di entusiasmanti esperienze naturalistiche e geologiche, storiche e sociali, antropologiche e architettoniche, nell’agricoltura e nell’allevamento, artistiche e letterarie, che a mio avviso andrebbero costantemente rinvigorite e fatte conoscere, praticate. Il Parco Nazionale del Circeo in particolare contiene una fauna, una flora ed una varietà di ambienti naturali, contenuti in relativamente pochi km2, che pochi altri luoghi al mondo possono vantare. La cultura è un bene prezioso e al contempo una risorsa economica, se amministrata con intelligenza e con rispetto, secondo modalità ecosostenibili.

(A.S.) Lei ha vissuto l’infanzia, l’adolescenza e parte della giovinezza a Sabaudia. Le sembra cambiata oggi la città?

(A.F.) Sabaudia mantiene alcuni ambienti-elementi ben conservati e curati, in altri casi si nota un certo abbandono, non voglio dire degrado. Quel che ho notato nel corso degli anni è stato un lento e progressivo depauperamento di presenze giovanili e di attività produttive, ovviamente compatibili con il territorio. Mancano, a mio avviso, idee trainanti per la città e politiche che guardino un po’ più lontano, varchino le esigenze/emergenze del presente. Negli anni della mia adolescenza ho visto edificare numerosi nuclei abitativi, fino alla saturazione degli spazi, seconde case vacanze, ma non hotel; ho visto fallire aziende importanti e cessare attività; ho constatato la riduzione delle presenze nelle varie caserme (Marina, Esercito, Finanza). In questi ultimi anni, queste seconde case sono sempre chiuse, pressoché disabitate nel corso dell’anno. Nessuna nuova azienda è stata aperta. Nessuna nuova attività produttiva. Il discorso è complesso. Dico soltanto, al momento, che bisognerebbe organizzare gruppi di lavoro con intellettuali, architetti, storici, economisti, persone competenti e a conoscenza della “situazione-realtà Sabaudia”, fra Parco Nazionale e vincoli ambientali etc., coinvolgendo anche i cittadini volenterosi, in grado di offrire un contributo di idee allo sviluppo della città e del suo territorio, negli ambiti di intervento più urgenti: economia, lavoro, convivenza con nuove etnie sul territorio, accoglienza e inclusione, scuola e università, ricerca e sport, cultura e turismo, natura-agricoltura e progetti per un territorio completamente green dal punto di vista energetico e produttivo; in particolare bisognerebbe cominciare a ragionare sulle possibilità di progetti europei finanziabili per la sopravvivenza della cittadina e dei suoi abitanti.

(A.S.) È d’obbligo concludere con una domanda sui giorni che viviamo e che ci attendono. Dopo aver raggiunto l’obiettivo di “Sabaudia città di Moravia”, ha altre idee da proporre per il presente e il futuro di Sabaudia o più in generale dell’Agro Pontino?

(A.F.) Idee molte… molte sorprese… ma è essenziale cominciare a eliminare fazioni e divisioni, e, invece, mettere a fuoco la sinergia delle competenze, della buona volontà, delle visioni, dove quel che conta non è né il narcisismo personalistico, né il protagonismo affaristico. Sabaudia è al centro della provincia di Latina. Semplicemente osservando la mappa di questo vario e non troppo vasto territorio se ne colgono la ricchezza, la varietà, la bellezza. Ecco, si potrebbe cominciare da qui. Basta saper conoscere e riconoscere le opportunità che questa natura, la nostra storia plurimillenaria, l’incontro di popoli, con usi, costumi, tradizioni differenti, le architetture e le colture/culture, le arti offrono, per progettare il nostro futuro. In primis, sarebbe necessario “connettersi”, mettere in comune il patrimonio di ogni realtà locale, dalle cittadine ai più piccoli borghi, conoscersi, evidenziare le peculiarità che rendono unici luoghi-prodotti, e farli poi conoscere. Considerare i vincoli biofisici come un’opportunità e una sfida, non come un limite: ecco, io ritengo che la contraddizione sia contenuta nel concetto stesso di sviluppo industriale ed economico “infinito”, nella mercificazione di ogni bene che viene ormai considerato “bene di consumo”; la chiave di volta è nel riconoscere le potenzialità dello sviluppo sostenibile a base ecologica, culturale, di ricerca, non negare ma valorizzare la natura, con un intento di ricerca estetica, sociale, psicologica. Il benessere non si fonda sul rapporto bruto produzione-consumo, ormai lo abbiamo compreso: il nostro territorio offre possibilità di una sana e buona vita. La parola “magica” è cultura, grazie alla quale si può affrontare la novità e governare la complessità. Potrei proporre numerosi esempi pratici… ma non occorre. Ci si prenda una giornata di relax e si faccia anche soltanto una bella passeggiata in bicicletta da Sabaudia a Fondi, o da Sabaudia a Priverno… e si capirà facilmente.

(A.S.) Grazie davvero per queste parole intense e generose, cariche di significato e di speranza. Speriamo che il suo impegno in ambito culturale sia da esempio per coloro che, oggi adolescenti, avranno il compito nei prossimi decenni di contribuire allo sviluppo sostenibile di questo territorio.

L’Agro Pontino: varietà del territorio

Alcune fotografie dell’Agro Pontino in cui si evidenzia l’incredibile varietà del nostro territorio.

Le fotografie sono state scattate da Vittorio Di Domenico, che ringraziamo.

Il Canale delle Acque Alte, Ninfa, l’oasi di Pantanello, l’Agro Pontino
I Monti Lepini, l’Agro Pontino, il promontorio del Circeo
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“Comprendere l’Ecomuseo. Teoria e pratiche del processo ecomuseale”: programma completo

La Libera Università della Terra e dei Popoli ha organizzato per l’Ecomuseo dell’Agro Pontino, inserito dal 2019 nell’Organizzazione Museale Regionale, un ciclo di seminari online “Comprendere l’Ecomuseo”, un progetto di formazione per operatori e facilitatori ecomuseali. Nel corso degli incontri i partecipanti avranno modo di riflettere sulla natura dei processi ecomuseali e confrontarsi con alcune delle metodologie e pratiche più diffuse.

A dicembre 2020 sono previsti quattro incontri.

  Mercoledì 9 dicembre ore 17:30    Antonio Saccoccio, Coordinatore tecnico-scientifico Ecomuseo dell’Agro Pontino, Comprendere l’Ecomuseo  
Alberto Budoni, Professore di Progettazione del territorio, Facoltà di Ingegneria Civile e Industriale, Università “Sapienza” di Roma: Dal patrimonio territoriale alla coscienza di luogo. Per una cittadinanza bioregionale  
  Venerdì 11 dicembre ore 18    Angelo Valerio, Responsabile legale Ecomuseo dell’Agro Pontino,  L’Ecomuseo dell’Agro Pontino: dalle origini ai nostri giorni  
Antonio Saccoccio, Coordinatore tecnico-scientifico Ecomuseo dell’Agro Pontino, Un censimento partecipato per l’Agro Pontino  
Maurizio Tondolo, Direttore Ecomuseo delle Acque del Gemonese, Inventario partecipativo, mappe di comunità e sviluppo locale: l’esperienza dell’Ecomuseo delle Acque del Gemonese  
  Lunedì 14 dicembre ore 18  Claudio Gnessi, Presidente Ecomuseo Casilino ad Duas Lauros: Pratiche partecipate di patrimonializzazione: il caso dell’Ecomuseo Casilino a Roma  
  Giovedì 17 dicembre ore 18  Simone Bucri, Coordinatore tecnico-scientifico Ecomuseo del Litorale Romano: (Ri)prendere la memoria. L’uso degli audiovisivi nell’Ecomuseo del Litorale Romano  

Il percorso formativo è gratuito per tutti i partecipanti.

Al termine del percorso sarà rilasciato dall’Ecomuseo dell’Agro Pontino un attestato di partecipazione. Per completare il percorso e ricevere l’attestato i partecipanti dovranno frequentare almeno ¾ dei seminari e consegnare entro il mese di dicembre alcune attività che saranno proposte durante gli incontri.

Per partecipare ai seminari occorre inviare la propria candidatura con una lettera di presentazione e il curriculum allegati all’indirizzo ondaecomuseoagropontino@gmail.com

Lo zuccherificio di Latina

A partire dal 1935, il fascismo decise di creare in Agro Pontino un’area dedicata alla barbabietola e alla sua trasformazione in zucchero. Questa attività doveva andare di pari passo con la più nota “battaglia del grano”.

Per realizzare lo stabilimento dello zuccherificio venne scelta un’area di 25 ettari su quella che oggi è Via delle Industrie. Lavorarono ai cantieri diverse centinaia di operai. Lungo tutto il  corpo di fabbrica principale fu scritto: “Costruito in dieci mesi durante l’assedio economico”. Di fronte allo stabilimento e nei viali interni venne realizzato un elegante giardino. La fabbrica fu dotata di tecnologia all’avanguardia di fabbricazione tedesca. Agli operai viene insegnato come utilizzare i nuovi macchinari.

LITTORIA: Lo zuccherificio (cartolina)
16/09/1940 (data autografa e timbro di spedizione)
Ed. E. Verdesi – Roma
Proprietà Riserv. Fascio Littoria
10,5 cm x 15 cm
Dall’Archivio Fotografico Digitale della Libera Università della Terra e dei Popoli.
Provenienza e proprietà: Archivio Libera Università della Terra e dei Popoli (Sermoneta).

«E non ci si limita allo stabilimento e al palazzo uffici: nel vicino villaggio dello Scalo la società fa costruire quattro palazzine a schiera (ora tutte demolite), lungo via della Stazione, per alloggiarvi le famiglie degli operai, altre due palazzine proprio al centro del borgo, pure destinate ad alloggi per gli operai e dotate anche di un negozio dispensa (entrambe le costruzioni sono state ora acquisite dal Comune e destinate a centro sociale); e il “Palazzo Rosso” sempre al centro dello Scalo: appartamenti per funzionari e impiegati e una foresteria. Inoltre, voluto dal senatore Ugo Ciancarelli, amministratore delegato della Società Italiana Zuccheri, l’asilo “Valentina Ciancarelli”, un’opera sociale, in favore delle madri lavoratrici, in memoria della figlia Valentina, morta di parto. Spesa: 230 mila lire. Ciancarelli ne offre in proprio 35 mila, 112 mila sono messe a disposizione dalla società e il resto dalle imprese impegnate nella costruzione dello zuccherificio. È il concetto di “fabbrica totale”, che organizza non solo il lavoro, ma almeno in parte anche la vita quotidiana dei dipendenti fuori dallo stabilimento: abitazioni, dispensa, ritrovo, servizi sociali»[1].

Il 19 agosto del 1936, dopo appena 10 mesi di lavori, Benito Mussolini inaugura lo zuccherificio. Il Giornale Luce del 26/08/1936 (B0946) raccontava: «Giornata di vibrante entusiasmo a Littoria per la visita del Duce, che inaugura una nuova importantissima opera venuta ad arricchire il primo Comune dell’Agro ormai redento. Il grande zuccherificio, sorto in soli 10 mesi nei pressi di Littoria, cui è collegate mediante un ampio raccordo ferroviario. Enormi cumuli di bietole raccolte nei campi vengono accentrate nei vastissimi silos, donde, per mezzo di una corrente d’acqua, vengono convogliati nello stabilimento, dove funziona un complesso e perfettissimo macchinario totalmente costruito in Italia per la produzione dello zucchero»[2].

Un determinato numero di poderi fu destinato alla produzione di barbabietole. Per evitare l’abbandono dei campi, ai contadini e agli assegnatari di poderi è vietato lavorare nello zuccherificio, né da dipendenti fissi, né da stagionali. «La maggior parte delle colture a bietola, il primo anno, si concentra nella zona di Mesa e Borgo Faiti: 939 ettari, con un prodotto di 120.474 quintali, pari a 18 mila 524 di zucchero cristallizzato, cioè non raffinato. Non è molto, ma si tratta di una campagna ancora quasi sperimentale. Nel 1937, secondo anno di attività, già si raddoppia»[3].

Durante la seconda guerra lo stabilimento continua a funzionare, fino allo sbarco di Anzio del 1944, quando gli impianti si fermano per un anno. Già nel 1945 lo zuccherificio torna a produrre e a dare occupazione a un centinaio di dipendenti fissi e circa 500 stagionali. Dal 1955 la Società italiana per l’industria degli zuccheri gestisce direttamente l’impianto (viene sciolta la Saiap, Società Agricolo Industriale Agro Pontino). Nel frattempo in Agro Pontino diventa meno conveniente destinare terreni alla barbabietola, che quindi inizia a giungere anche da altre zone del Lazio. Nel 1972 lo zuccherificio passa al gruppo Montesi di Padova. Negli anni successivi lo stabilimento viene ampiamente ristrutturato; dopo la chiusura degli stabilimenti di Rieti e di Foligno, il bacino bieticolo dello zuccherificio di Latina si estende ancora, fino a includere province al di fuori del Lazio (Grosseto, Terni e Perugia).

Nel 1984, dopo il fallimento del gruppo Montesi, lo stabilimento chiude, ma a seguito di una grande mobilitazione riapre l’anno successivo e raggiunge nell’anno del cinquantenario della nascita (1986) ancora produzioni notevoli. Nel 1989 lo zuccherificio viene ceduto alla Finanziaria Saccarifera Italo Iberica (SFIR).

All’inizio degli anni Novanta lo stabilimento chiuse. Poco dopo scoppiò la questione ecologica: a pochi passi dal centro abitato di Latina Scalo, l’area dello stabilimento conteneva centinaia di tonnellate di amianto e oli esausti. La stampa denunciò il rischio che stava correndo la popolazione. Nel 1996 il Comune di Latina (sindaco: Ajmone Finestra) ha acquistato dalla SFIR S.p.A. lo stabilimento di Latina Scalo e tutto il sito adiacente con una spese intorno ai 5 miliardi di lire, con l’obiettivo di bonificare e riqualificare la zona e la struttura e poi riconvertirla in Polo logistico integrato. Il progetto è stato realizzato con un finanziamento erogato dall’Unione europea. Furono rimossi e smaltiti oltre 200 tonnellate tra amianto, materiali ferrosi dei vecchi impianti dello zuccherificio e oli esausti. «Nel 2000 – ricorda Finestra – la seconda fase si concluse con la realizzazione della Piattaforma logistica (i lavori erano iniziati nel 1996-97) e venne costituita la SLM S.p.A. con soci il Comune di Latina al 95% e Camera di Commercio, Assindustria, Federlazio e un consorzio di operatori privati con il restante 5%»[4].

Negli anni Duemila la Società Logistica Merci S.p.A. ha accumulato debiti per diversi milioni di euro. Dal 2010 è in liquidazione.


[1] Emilio Drudi, “E le bietole addolcirono le fatiche: lo zuccherificio di Latina Scalo” in AA.VV., Memoria e Industria, Federlazio, Latina 1991, pagg.143-155.

[2] Giornale Luce, Mussolini inaugura a Littoria un grande zuccherificio, B094607, 26/08/1936.

[3] Emilio Drudi, “E le bietole addolcirono le fatiche: lo zuccherificio di Latina Scalo” in AA.VV., Memoria e Industria, Federlazio, Latina 1991, pagg.143-155.

[4] Ajmone Finestra, La mia verità sull’intermodale, 20/06/2010, https://www.latina24ore.it/latina/5866/finestra-la-mia-verita-sullintermodale/

Conversazioni pontine: Claudio Galeazzi

(Antonio Saccoccio) Buongiorno Dott. Galeazzi, tra le sue pubblicazioni figurano studi su Pontinia, ma anche su Latina, Sabaudia, Borgo San Michele. Quando e per quale motivo ha iniziato a occuparsi della storia del territorio?

(Claudio Galeazzi) Verso la seconda metà degli anni ’70 del secolo scorso, gli studenti delle Scuole di Pontinia furono coinvolti nella ricerca di notizie su Pontinia in occasione dell’Anniversario della fondazione  ed inaugurazione della Cittadina. Non essendoci sul campo materiali o libri in merito, si rivolsero al sottoscritto, allora impiegato in Comune.
Al fine di dare notizie certe, non solo basate sulla memoria orale di chi aveva vissuto quei giorni, iniziai le ricerche nell’Archivio comunale e nelle varie Emeroteche: il risultato, oltre che erudire i ragazzi su quanto trovato, fu condensato nel mio primo libro, Pontinia. Appunti, annotazioni e documenti di interesse e di storia locale, del 1978.
E da allora è iniziato il mio interesse per la ricerca storica, basata soprattutto su documentazione.

C. Galeazzi, Pontinia. Appunti, annotazioni e documenti di interesse e di storia locale, 1978

(A.S.) C’è una ricerca, uno studio in particolare che ricorda con emozione?

(C.G.) Ho coordinato il riordinamento dei documenti e l’inventario dell’Archivio Storico (dal 1934 al 1945) del Comune di Pontinia, effettuati dal dott. Oscar Gaspari e dal dott. Claudio Olivieri  conclusi nell’anno 1984.
Leggere le carte e i documenti conservati nell’Archivio storico del Comune è stata un’esperienza che mi ha portato a scoprire la vita vissuta della comunità in cui vivo e molte specificità ai più sconosciute.
Inoltre, uno dei passaggi fondamentali per chi fa ricerca è la disseminazione dei risultati raggiunti: rendere pubblico il proprio studio per presentarlo agli altri studiosi e fare in modo che sia accessibile per tutta la comunità.
Il mio Archivio personale raccoglie documenti originali o in copia  che sono serviti per le mie  pubblicazioni: Giornali d’epoca, Manifesti e Avvisi relativi all’occupazione germanica, planimetrie e progetti, fotografie d’epoca e contemporanee di Pontinia e delle Città di Fondazione, testimonianze varie.
Avevo una raccolta degli articoli della cronaca di Pontinia dal 1975 al 2005, divisi per anno, mese e giorno, che ho donato, per problemi di spazio, alcuni anni fa al Comune di Pontinia e sinceramente non so che fine abbiano fatto.
Poiché i miei 20 libri, oltre a saggi, articoli ed interventi su riviste specializzate,. riguardano la storia locale, il mio Archivio insieme alla mia biblioteca riguarda la Storia locale.
Personalmente ho messo sempre a disposizione di studenti, anche per tesi universitarie, le notizie e i documenti in mio possesso, chiedendo, anche se non sempre è avvenuto, la citazione.

Pontinia, Chiesa Sant’Anna, Bambini con Mons. Navarra, Vescovo di Terracina, Anni Cinquanta

(A.S.) Lei ha accumulato esperienze in molteplici campi, è stato operaio, commerciante, docente, responsabile del Settore Servizi alla Persona del Comune di Pontinia, sindacalista, Consigliere dell’Amministrazione Provinciale di Latina, Assessore alla Cultura e alle Pari Opportunità della Provincia di Latina. Quanto queste singole esperienze sono state importanti nel suo percorso di vita? E quanto la hanno aiutata a comprendere la storia del territorio pontino?

(C.G.) Ogni singola esperienza è stata importante nel percorso della mia vita perché mi ha portato a conoscere e a vivere le varie situazioni, i vari stati di attività istituzionali e non.
È implicito che tutto ciò mi ha aiutato a comprendere, a capire e a vivere la storia passata e presente del nostro territorio, mescolata alla quotidianità di adulti e ragazzi che cercano di vivere la propria vita nonostante tutto.

50° Fondazione di Pontinia, 17 dicembre 1984

(A.S.) Lei è stato Fondatore e Direttore del Museo comunale di Pontinia “La Malaria e la sua Storia”. Ci racconta come è nata e si è sviluppata questa iniziativa culturale?

(C.G.) L’idea di costituire a Pontinia un museo sulla malaria nell’Agro Pontino nasce nel 1986, all’indomani del riordinamento dell’Archivio storico e dell’Archivio dell’Ufficio Sanitario del Comune.
In quella occasione furono rinvenuti una serie di interessantissimi documenti sull’attività del Comitato Antimalarico di Littoria, prima e dopo la Seconda guerra mondiale, tra i quali alcune mappe, tavole colorate a mano, che illustrano con dei grafici la lotta antimalarica nella pianura pontina prima e dopo la Bonifica degli Anni Trenta.
Oltre a questo materiale, sono state trovate numerose confezioni di medicinali utilizzati nella prevenzione e nella cura della malattia, diffusa nella zona fino al 1949 e opuscoli del Comitato Provinciale Antimalarico.
Questo materiale fu utilizzato, ma solo in parte e per problemi di spazio, in due occasioni: per realizzare una Mostra sulla malaria in Agro Pontino, tenutasi la prima volta a Pontinia dal 14 dicembre 1986 al 25 gennaio 1987 e la seconda a Latina dal 27 febbraio al 20 marzo 1987.
Quindi il materiale costituì l’apposito Museo, che fu inaugurato il 19 dicembre 1993, in occasione del LIX Natale della Città.

C. Galeazzi e C. Barbato, La malaria e la sua storia, 2004

(A.S.) Lei è stato molto impegnato anche in ambito ecclesiale.

(C.G.) Sono Diacono permanente, ordinato il 19 aprile 1998 e incardinato nella Diocesi di Latina-Terracina-Sezze-Priverno.
Sono Collaboratore pastorale presso la Parrocchia S. Anna di Pontinia.
Attualmente presto servizio volontario presso la Curia vescovile, dove, tra l’altro, il Vescovo mi ha nominato Notaio del Tribunale Ecclesiastico diocesano.
Dal 1991 sono Membro e Segretario della Commissione diocesana per l’Arte Sacra e i Beni Culturali.

Claudio Galeazzi diacono

(A.S.) Ha una o più idee da proporre per il presente e il futuro di Pontinia e dellAgro Pontino?

(C.G.) È una domanda che mi lascia un poco interdetto.
Nel corso dei miei anni vissuti in Pontinia (la prima volta vi giunsi il 12 ottobre 1968, proveniente da Sabaudia per dare origine ad un gruppo scout), ho cercato sempre di proporre e dare il mio impegno per la realizzazione di attività che potessero migliorare in tutti i sensi la vita e la conoscenza di questa cittadina.
Insieme ai Pontiniani abbiamo messo in atto realtà oggettive.
Ora mi si chiede di proporre idee per il presente e il futuro.
Orbene quello che propongo a chi di competenza, con tutto il cuore e lucidità mentale,  è di amare questa cittadina e tutto l’Agro: si sono chiuse, distrutte e abbandonate molte opere messe in atto con l’impegno e con il lavoro costante di uomini e donne.
È il nostro vissuto che, soprattutto adesso, – come ebbi già occasione di dire – ci insegna come la strada verso la complessità del futuro passa sempre attraverso il recupero del passato e non il suo oblìo o la sua distruzione.

Conversazioni pontine: Felice Cipriani

(Antonio Saccoccio) Buongiorno Dott. Cipriani, lei è l’autore de “Lo strano delitto di don Cesare”, con la prefazione di don Luigi Ciotti. Da dove è nato il suo interesse per don Cesare Boschin e la torbida vicenda della sua uccisione?

(Felice Cipriani) Era l’estate del 2015 e mi trovavo in vacanza a Sappada. Ogni mattina mi recavo dal giornalaio per acquistare un quotidiano. Una mattina, appena entrato notai sul bancone del negozio un libro che parlava di bonifica pontina. Interessato e studioso della bonifica, acquistai il libro. La sera nel leggerlo noto che c’è un capitolo riguardante l’uccisione, avvenuta nel 1995, di un sacerdote parroco di Borgo Montello: Don Cesare Boschin. La cosa oltre che a rattristarmi m’incuriosisce, anche per i temi ambientali che sono connessi a quest’omicidio. Una volta tornato a Roma mi riprometto di saperne di più e inizio le ricerche, i viaggi e le visite a Borgo Montello.

(Antonio Saccoccio) Don Cesare veniva dal Veneto e si era integrato alla perfezione in Agro Pontino. Qual era il suo rapporto con la comunità locale?

(Felice Cipriani) La Comunità originariamente e storicamente è veneta. Nel corso degli anni si sono aggiunti gruppi provenienti dalla Tunisia, quando questo Paese ha recuperato l’indipendenza e per gli italiani lo spazio si era ristretto. Poi sono arrivati profughi dall’Istria e… camorristi, ma la caratterizzazione veneta è rimasta. Don Cesare era un parroco che viveva intensamente con i parrocchiani. Girava per le campagne con la sua Fiat 127, portava il settimanale “Famiglia Cristiana”, si fermava a parlare, prendere un caffè e l’inverno alle famiglie più bisognose portava calzettoni, maglioni. Ha aiutato molti giovani all’avviamento al lavoro nelle fabbriche durante gli anni Sessanta e Settanta che non mancavano in provincia.

(Antonio Saccoccio) Quali sono state le fonti che ha utilizzato per il suo libro? Ha trovato persone disponibili ad aiutarla in questa sua ricerca?

(Felice Cipriani) Ovviamente quanto scrisse la stampa locale nel periodo dell’omicidio, documenti delle pubbliche amministrazioni e testimoni. Sì, ho trovato amici di Don Cesare e parrocchiani di Borgo Montello, che mi hanno detto tante cose che sono state utili per il libro che ho scritto.

(Antonio Saccoccio) Don Cesare, la discarica, il comitato di Borgo Montello. Cos’ha scoperto e cosa resta da scoprire?

(Felice Cipriani) Il delitto è connesso con la discarica, una delle più grandi d’Italia, una vergogna nazionale. Su questa discarica è emerso il ruolo della malavita organizzata, come la camorra. Non è chiaro il ruolo delle nostre Istituzioni, perché nonostante le denunce dei cittadini e le informative di Carmine Schiavone del clan Casalesi, lo Stato inteso in Regione, Agenzia Regionale per l’Ambiente e Forze dell’Ordine non ha mai effettuato gli scavi giusti per ritrovare i fusti con sostanze chimiche i cui luoghi furono segnalati dallo steso Schiavone. Perché? La scoperta più sconcertante è stata quella che nel corso delle indagini non furono ascoltate le persone più vicine al parroco e che abitavano vicino la canonica. Perché? Don Cesare negli ultimi giorni prima di morire era molto preoccupato e aveva paura. Così confessò a persone a lui vicine. Si è cercato di capire perché aveva paura?  Sono stati controllati gli atti relativi alle compravendite dei terreni per l’individuazione dei reali proprietari delle attività imprenditoriali ubicate a ridosso della discarica stessa e se fosse corrisposta al vero la notizia secondo cui si sarebbe voluto realizzare nella stessa zona di Borgo Montello un mega-inceneritore per rifiuti urbani e speciali? Il mio libro è servito a far riaprire le indagini che però sono state frustrate dal fatto che la Procura aveva distrutto i reperti. Perché?

(Antonio Saccoccio) Infine, è importante anche sapere chi è l’autore del libro su don Boschin. Chi è Felice Cipriani, quali i suoi interessi? Lei, maentino di nascita, è molto interessato a tutto quello che riguarda la memoria e l’Agro Pontino. Può dirci qualcosa in più?

(Felice Cipriani) I miei interessi sono legati all’ambiente e alla Memoria. Credo, di essere stato il primo a organizzare, nella capitale, come segretario del Comitato di uno dei più disastrati quartieri di Roma, urbanisticamente parlando, quello di Cinecittà, una manifestazione per il “Verde” nel lontano 1970. Sono stato tra i fondatori degli “Amici del Tevere”, dell’Associazione “Amici dei Monti Lepini”, Comitato Ambiente Sperlonga, L’Altritalia Ambiente. Per tanti anni la mia attività giornalistica e non solo mi ha portato a occuparmi di questioni internazionali e di Paesi come Russia, Cambogia, Cile e quelli del Medio Oriente. Abbandonato il lavoro dipendente, ho iniziato a scrivere libri sulla Memoria e sul recupero di storie di persone che avevano meritato ed erano state dimenticate dalla storiografia. Non sto a elencare le storie e i titoli dei libri, posso dire che il mio impegno ha contribuito alla concessione di medaglia d’oro al Merito Civile alla Memoria, alla riabilitazione di contadini condannati nel 1881 ingiustamente e alla riapertura di indagini come nel caso di Don Cesare Boschin. Poi mi sono concesso qualche licenza spericolata, scrivendo su San Tommaso D’Aquino e le sue presenze a Maenza. In merito all’Agro pontino posso dire di averlo considerato sino a trent’anni fa uno degli angoli più belli d’Italia e mi sono speso per salvaguardarlo sotto vari vesti. Ho contribuito a recuperare e salvare dalla distruzione i progetti di Sabaudia e con amici architetti organizzarne una mostra a Londra presso la Facoltà di Architettura. Di questa città ho parlato in convegni nazionali quando era difficile parlare dell’architettura fascista. Ho denunciato sui giornali la pericolosità della Pontina, la tentata navigazione del lago di Paola, il porto turistico a Lago Lungo, la porcilaia a Sonnino. Per ultimo a un convegno del 1980/81 promosso dal comune di Latina sulla “città stellare” con l’architetto Paolo Portoghesi denunciai le infiltrazioni della malavita nelle attività turistico-commerciali nella provincia.

(Antonio Saccoccio) Lei ha qualche proposta per il presente e il futuro dell’Agro Pontino?

(Felice Cipriani) Ricucire la città di Latina con i borghi, non con il cemento ma attraverso attività connesse con la cultura, mostre, concerti, teatro, agroalimentare, mercati km zero e non centri commerciali e poi corridoi verdi che raccontino la storia e preservino qualcuno dei “poderi”. Realizzare il treno metropolitano da Roma a Latina città, migliorare la condizione e la sicurezza della Pontina e farne una superstrada con tre corsie da Spinaceto a Pomezia. Tutelare le architetture delle città di fondazione e dei borghi. Adoperarsi per creare una Facoltà di Architettura a Sabaudia e fare di Latina una città dei congressi. Promuovere uno studio serio sull’utilizzo dell’acqua per fini agricoli e scongiurare che ci sia negli anni a venire una salinizzazione delle acque dell’Agro Pontino. Lavorare per una maggiore sussidiarietà e complementarietà tra i centri Lepini e l’Agro pontino… che mi sembra un po’ difficile vista l’aria che tira in termini di capacità progettuale della classe politica e delle pubbliche amministrazioni. Bisogna saper sognare, sperare e credere fermamente che i sogni si possano realizzare.

(Antonio Saccoccio) La ringrazio davvero per la sua disponibilità. Le sue parole agiranno certamente da pungolo per le nuove generazioni.

Rinviato il seminario “Hildegard von Bingen”

La Libera Università della Terra e dei Popoli, in considerazione dell’aumento dei contagi da SARS-CoV-2 registrato negli ultimi giorni nei Comuni dell’Agro Pontino, ritiene opportuno rinviare il seminario “Hildegard von Bingen”, previsto per i giorni 10 e 11 ottobre presso la sede di Pontinia, località Cotarda. La Libera Università della Terra e dei Popoli comunicherà una nuova data per il seminario, appena le condizioni sanitarie e sociali ne permetteranno lo svolgimento in sicurezza e serenità. Ringraziamo le tante amiche e i tanti amici che in queste settimane hanno manifestato la volontà di partecipare all’evento. Ringraziamo anche le amiche e gli amici che hanno contribuito a organizzare l’incontro e/o hanno offerto la loro disponibilità a intervenire in qualità di relatori. Un ringraziamento particolare a Gilbert Louis Casaburi, che ha organizzato l’evento con Laura Scalabrini e ideato pietanze uniche per l’occasione con Elisabetta Massaccesi. L’appuntamento è solo rimandato. Dopo questa rinuncia, sarà ancora più bello ritrovarci tutte/i insieme nel nome di Ildegarda di Bingen.

L’annessione di Sonnino al Regno d’Italia: il plebiscito del 2 ottobre 1870

“Dichiariamo la nostra unione al Regno d’Italia sotto il governo monarchico costituzionale del Re VITTORIO EMANUELE II e de’ suoi Successori”.

Alle ore 10 antimeridiane del 2 ottobre 1870 si aprirono i seggi e le operazioni di voto durarono tutta la giornata. I cittadini di Sonnino segnando a scrutinio segreto il Sì o il No su una scheda stampata decisero il futuro del paese nel Regno d’Italia. Tutti i sonninesi di sesso maschile che avevano compiuto il ventunesimo anno di età, domiciliati nel comune e che si trovavano nel godimento dei diritti civili, furono ammessi al voto. Furono esclusi i condannati per frode, furto, bancarotta e falsità, ed anche coloro dichiarati falliti per sentenza.
A garantire il voto a tutti nel comune furono formate le liste dei cittadini chiamati a votare. Sembra incredibile, ma il destino di appartenere all’Italia fu deciso da un voto libero e segreto. Ciascuno votò dichiarando il suo nome che venne annotato in un’apposita lista da uno dei membri componenti l’ufficio o dal segretario del seggio. Le regole del voto furono le stesse delle nostre consultazioni referendarie per cui è possibile affermare che sono 150 anni che i cittadini delle nostre contrade votano nel rispetto di regole sicuramente democratiche. A garanzia del voto ordinato il Presidente di ciascun seggio fu incaricato del mantenimento dell’ordine pubblico, a sua disposizione aveva a disposizione la guardia cittadina e nessuna forza armata poteva essere collocata nella sala della votazione senza la richiesta dello stesso Presidente.
Chiuso lo scrutinio, fu eseguito pubblicamente lo spoglio dei voti, facendo risultare l’esito della votazione in un apposito verbale firmato dai membri presenti nell’ufficio di Presidenza. A Sonnino votarono in 234 su 263 aventi diritto, i No furono solamente 2 mentre i Sì, che misero fine alla millenaria storia delle Terre di Confine, furono 232. I verbali con i risultati parziali furono portati dai sonninesi Stefano Tucci e Luigi Grenga alla Giunta Provinciale di Governo di Frosinone, dove in seduta pubblica fu fatto lo spoglio generale e proclamato il risultato. Nella provincia di Frosinone su 32.288 inscritti nelle liste elettorali, i votanti furono 25.964. Votarono Sì in 25.645, votarono No solo in 319.

Giuseppe Lattanzi