“Conoscere e riconoscere i paesaggi invisibili”, seminario maieutico presso la Lunitepo (12 giugno 2022)

Domenica 12 giugno 2022 a Pontinia, presso la sede della Libera Università della Terra e dei Popoli, centro studi dell’Ecomuseo: seminario maieutico “Conoscere e riconoscere i paesaggi invisibili. Per un approccio pedagogico comunitario”, primo incontro del progetto “Paesaggi invisibili”.

Con la partecipazione di: referenti delle antenne locali, responsabili dei Centri di Interpretazione, referenti scientifici, produttori locali, amministratori locali e regionali, persone-risorsa, collaboratori a vario titolo dell’Ecomuseo.
Introduce e coordina Antonio Saccoccio, presidente della Libera Università della Terra e dei Popoli.

Intermezzo conviviale e pranzo comunitario a cura della Libera Università della Terra e dei Popoli.

Note di pedagogia ecomuseale (di Antonio Saccoccio)

Sabato 26 giugno 2021 si è tenuto a Latina il convegno “Maria Montessori, una proposta educativa nell’Agro Pontino”, organizzato dall’Opera Nazionale Montessori e la cooperativa Astrolabio di Latina. Antonio Saccoccio, presidente della Libera Università della Terra e dei Popoli e coordinatore tecnico-scientifico dell’Ecomuseo dell’Agro Pontino, ha presentato una comunicazione intitolata “Note di pedagogia ecomuseale”, di cui riproponiamo la registrazione.

Relatori:
– Prof.re Giuseppe Lattanzi, Direttore Scientifico del Museo “Terre di Confine” di Sonnino
– Prof.ssa Sandra Chistolini, docente ordinario di pedagogia presso la facoltà di Roma Tre
– Prof.re Benedetto Scoppola, Presidente dell’Opera Nazionale Montessori
– Dott.ssa Martina Crescenzi, insegnante e docente nei corsi Opera Nazionale Montessori
– Prof.re Antonio Saccoccio, Coordinatore tecnico scientifico dell’Ecomuseo dell’Agro Pontino

Sono intervenuti:
– Damiano Coletta, Sindaco di Latina
– Gianmarco Proietti, Assessore alla Pubblica Istruzione di Latina
– Leonardo Valle, Direttore Generale Astrolabio

Moderazione: Dott.ssa Pina Caruso

Didattica montessoriana: ambiente, cultura, storia

Spazi e ambienti di apprendimento, educazione all’ambiente sono alcuni dei principi chiave della didattica montessoriana. La dottoressa Montessori nel suo progetto educativo pone ampia attenzione all’ambiente sia nel suo significato naturalistico che artistico. Ella concepisce lo studio ambientale non soltanto come trasmissione di cultura, ma piuttosto come un aiuto alla vita in tutte le sue espressioni. “Una scuola che si preoccupa soltanto di questioni scolastiche – afferma la stessa Montessori – può senz’altro essere ammirata come scuola, ma non risponde più ai bisogni del nostro tempo. La scuola che fornisce solo preparazione scolastica, che separa l’intelligenza dalla società reale, non è più valida”. Normalmente il sapere viene sezionato e parcellizzato per poi essere ricomposto in blocchi artificiosi, funzionali ad un insegnamento basato sulla trasmissione di conoscenze, nozioni ed informazioni. Nella scuola montessoriana, invece, lo studente esprime il suo potenziale sia nella dimensione personale che sociale. “Le lezioni stancano il ragazzo e lui ce lo manifesta, perché l’uomo non può vivere solo quando sta usando il pensiero; non si sviluppa solamente attraverso la sua intelligenza e la sua memoria. C’è bisogno di esperienze sociali, di una vita sociale fondata sull’istruzione” (Montessori).  Lo studente “…ha bisogno di lavorare con la mente e con le mani. Questo richiede uno sforzo complesso della personalità. L’errore dell’educazione consiste nel creare un uomo mutilato nelle sue abilità” (Montessori).  

Nel metodo Montessori particolare cura viene posta nel ruolo dell’insegnante. I giovani hanno bisogno, per istruirsi spontaneamente, di avere nell’adulto una guida dirigente che sia un vero rianimatore che sappia suscitare il primo entusiasmo e sappia presentare la cultura in modo elevato. “La persona più adatta a fornire le necessarie spiegazioni non è l’adulto, ma il compagno di poco maggiore di età”, affermava con decisione l’illustre pedagogista quasi a mettere in guardia chiunque che nella scuola impostata sul suo metodo non ci sono commistioni o confusioni. In modo particolare nel pensiero montessoriano la scuola per i ragazzi dai 12 ai 18 anni è concepita fuori dalla città in un luogo in cui sia possibile vivere a contatto con la natura. Così sono nati gli Erdkinder, i “fanciulli della terra” e la cosiddetta pedagogia del luogo. Il luogo ispira il senso di appartenenza. Il luogo ispira la storia. Il luogo è dove viviamo. Il luogo è concreto, è lo spazio di vita vissuta in cui le comunità umane hanno organizzato la vita secondo criteri di socialità. Far lavorare i giovani studenti con l’archeologia, ad esempio, calarli nella cultura materiale di una società antica permette la concretizzazione delle scene sociali che essi stessi stanno costruendo dentro di loro.

Una didattica ambientale per essere efficace deve poter procedere per fasi sequenziali. In primo luogo occorre delimitare il campo di indagine: il rapporto tra evoluzione storica ed utilizzo delle risorse può spiegare i diversi aspetti che determinano la specificità del territorio e delle sue situazioni storiche.

Infatti la realtà fisica ed il suo sfruttamento a fini economici è sempre mediata ed indirizzata dai valori che una data popolazione ha elaborato. Il nostro campo di indagine, quindi, dovrà porsi sia come evidenziazione del processo storico che come analisi territoriale.

In secondo luogo occorre attivare l’osservazione e l’analisi del campo d’indagine prescelto.

La formulazione di categorie logiche consente di analizzare e comprendere i fenomeni complessi che sono presenti nell’oggetto di studio. In questo contesto lo spessore storiografico può divenire elemento probante di avvenimenti che hanno scandito e caratterizzato un insediamento umano.

In terzo luogo attraverso la problematizzazione dei dati analizzati si pone l’attenzione sulla relazione tra culture ed utilizzazione delle risorse:l’allievo, infatti, deve essere educato all’analisi di una realtà intesa come studio di problemi complessi.

Spiegare la motivazione dei fenomeni osservati e perché questi stessi fenomeni si evidenziano all’interno dell’ambito considerato, implica l’introduzione di nuovi modelli di analisi che rendono la singola realtà territoriale intellegibile ed interpretabile. In più una simile impostazione consente, attraverso un percorso analogico, la comprensione di elementi simili anche se geograficamente distanti e l’acquisizione del metodo storico per la comprensione del passato.

Inoltre la formulazione di ipotesi di risposta consente nella quarta fase di evidenziare che la concretezza dell’intero progetto dà luogo ad un saper fare che non necessariamente investe solo il campo della semplice esercitazione.

Le tematiche suscitate nel confronto tra culture o nel campo delle diverse utilizzazioni delle risorse dovrebbero produrre auspicabili mutamenti di atteggiamento nello studente. L’operatività in questo senso deriverebbe da una rinnovata capacità di analisi e dalla possibilità di attivare comportamenti che tengono conto della tutela del patrimonio storico-archeologico del nostro paese e del senso di appartenenza ad una storia e ad una natura. In ogni caso le ipotesi individuate dagli allievi saranno vagliate per la loro congruità o incongruità rispetto alle caratteristiche del problema esaminato, sfruttando, però, le conoscenze disciplinari che sull’argomento mano a mano si sono venute determinando. Tale procedura tenderà a falsificare alcune ipotesi e ad affermarne altre ritenute più congrue alla luce dell’acquisita capacità di analisi.

Successivamente nella quinta fase di sintesi e verifica le relazioni tra cultura, tecnologia ed utilizzazione delle risorse permetteranno di trovare quei parametri per identificare i fenomeni e di ordinarli in categorie consentendo l’individuazione e la piena comprensione del tema proposto.

Nella formazione culturale dello studente la presenza massiccia di informazioni scientifiche provenienti dalla comunicazione mediale si riflette immancabilmente sulla sua vita: tale informazione non è sempre organizzata secondo un percorso metodologico che lo mette in condizione di comprendere ed elaborare il significato del messaggio, spesso quest’ultimo diviene uno stimolo indistinto che procura semplicemente bisogni.

D’altra parte va sottolineato che nell’epoca dell’informazione virtuale lo stimolo alla sperimentazione è fortemente limitato dall’esigenza di informare a qualsiasi costo, anche se la medesima informazione non ha avuto il necessario riscontro probatorio: la multimedialità a questo proposito, purtroppo, gioca un ruolo non sempre chiaro dal punto di vista educativo.

A tutti gli effetti, quindi, il processo d’istruzione si realizza nel momento in cui il territorio non viene più analizzato e vissuto come spazio indifferenziato, ma come insieme complesso in cui individuare elementi e dinamiche. Tale impostazione costruita su basi olistiche, tende a sviluppare una visione fondata sullo studio dell’insediamento umano come totalità organizzata e non come insieme di parti staccate da ogni contesto.

L’ambiente diviene, quindi, il complesso delle modalità con cui l’umanità è andata strutturando lo spazio secondo criteri di socialità e di utilità: dal soddisfacimento di bisogni elementari e complessi, in linea con le caratteristiche geografiche del territorio, si è passati a concepire quest’ultimo come parte integrante del proprio organismo. Proprio per questi motivi gli obiettivi valoriali in questo progetto dovranno essere indirizzati all’acquisizione dell’ambiente come bene attraverso una corretta conoscenza di quest’ultimo, al suo rispetto, al riconoscimento che esso si fonda su un sistema di relazioni in cui gli elementi sono in equilibrio ecosistemico tra di loro. Inoltre dal punto di vista formativo lo scopo prioritario di questa attività didattica è quello di sviluppare la capacità di analisi e di comprensione dello spazio archeologico (ad esempio) con riferimento alla valorizzazione e salvaguardia dei beni culturali. Per queste motivazioni l’acquisizione di modelli mentali da parte degli allievi, come base necessaria per la progettazione di nuove esperienze nella didattica dei beni culturali ed ambientali, diviene elemento qualificante a tutti gli effetti.

Trasformare l’ambiente in significato diviene a tutti gli effetti l’obiettivo qualificante dell’impostazione didattica montessoriana che si fonda sull’educazione cosmica che ha come obiettivi formativi:

  • Comprendere le relazioni che le diverse forme di comunicazione hanno con il contesto e con gli altri ambiti della cultura
  • Operare un confronto tra le diverse forme di linguaggio: il linguaggio dei monumenti antichi, il linguaggio del paesaggio
  • Riconoscere la specificità dei singoli linguaggi: l’organizzazione politica ed economica attraverso la funzione dei monumenti
  • Riflettere sulla funzionalità espressiva dei diversi linguaggi e sul rapporto che si stabilisce tra loro nei testi multimediali
  • Capacità di analisi e sintesi sulle osservazioni scientifiche
  • Capacità di orientarsi nello spazio

Giuseppe Lattanzi

Qualche domanda a Hugues de Varine su ecomusei, educazione e Paulo Freire (a cura di A. Saccoccio)

(Antonio Saccoccio) Caro Hugues de Varine, io credo che l’aspetto educativo sia fondamentale nel processo ecomuseale. Anche tu hai parlato molto spesso di questo. In particolare, citi frequentemente il pensiero pedagogico di Paulo Freire. Lo chiami “il mio maestro”. Quando e come è nata questa tua predilezione?

(Hugues De Varine) Tra il 1970 e il 1974, ho partecipato a titolo volontario e militante alla creazione e allo sviluppo di una ONG internazionale d’iniziativa francese, chiamata INODEP (Istituto Ecumenico per lo Sviluppo dei Popoli), fondata da alcuni missionari cattolici e protestanti nello spirito dell’enciclica Populorum Progressio e di uno dei suoi redattori Louis-Joseph Lebret. Noi abbiamo scelto come presidente Paulo Freire, che era al tempo in esilio in Europa e consigliere del Consiglio Ecumenico delle Chiese a Ginevra. Lui ha accettato e durante gli anni seguenti non solo ha presieduto formalmente l’INODEP, ma ci ha anche insegnato le sue idee e i suoi metodi. E naturalmente io ho letto i suoi libri tradotti in francese. Ci ha aiutato a concepire gli obiettivi e i programmi dell’INODEP, in America Latina, in Africa e anche in Asia. Poi, quando io ho lasciato l’ICOM che guidavo per andare a lavorare in provincia, ho lasciato l’INODEP dove avevo presieduto l’associazione francese che gestiva il tutto. Nel 1972, quando preparavo la Tavola Rotonda di Santiago, ho domandato a Paulo Freire se avrebbe accettato di essere il principale relatore dell’incontro e lui ha accettato. La mia idea era che riflettesse sul museo come aveva riflettuto sulla scuola. Ma il governo dittatoriale brasiliano ha posto il veto. Poi, ho rivisto Paulo Freire un’ultima volta, un po’ a lungo, da lui, a San Paolo nel 1992. E poi, avendo lavorato molto in Brasile su progetti comunitari e patrimoniali, ho ritrovato le sue idee che sono laggiù molto spesso messe in pratica in numerosi ambiti. Attualmente, sono in corso molti master o tesi in museologia che prendono spunto dalle idee di Paulo Freire.

 (A.S.) Tu hai appreso dal pensiero di Paulo Freire il concetto di “cultura viva”. In particolare, con Arlindo Stefani, uno degli allievi di Paulo Freire, hai elaborato una grandiosa utopia intitolata “cultura viva e sviluppo”. Di cosa si tratta?

(H.d.V.) È un’idea che abbiamo avuto, Arlindo e io, in Francia alla fine degli anni Settanta, per sperimentare metodi di sviluppo locale partecipativo, e che abbiamo applicato a diversi progetti sul territorio, in particolare nelle case dei lavoratori immigrati e nelle case popolari. Si trattava di partire dall’osservazione partecipata della vita quotidiana, dalle persone stesse, per portarle a presentare proposte concrete e applicarle nella loro vita quotidiana e nei territori. Ciò che noi chiameremmo in portoghese “capacitação” o in inglese “empowerment”. Si trattava di far prendere coscienza del sapere di ciascuno in un approccio collettivo o condiviso, per prendere quindi fiducia nella loro capacità di risolvere problemi reali ma semplici, poi spostarsi progressivamente verso la soluzione di problemi sempre più complessi. E un processo lungo e lento, molto impegnativo in termini di fiducia, competenza linguistica, con pochissimi mezzi tecnici e molto spesso senza alcun supporto da parte delle autorità. E un’utopia realistica, poiché abbiamo mostrato che funziona, ma nessuno ci crede perché oggi bisogna andare sempre più veloci e ottenere risultati. Tutto questo sembra un po’ come fare dell’omeopatia sociale.

(A.S.) Per coloro che si occupano di ecomusei, è molto importante distinguere l’educazione bancaria dall’educazione liberatrice. Perché?

(H.d.V.) Il museo tradizionale, come la scuola, dalla primaria alla superiore, mira a imporre delle conoscenze, con metodi più o meno sofisticati (detti “pedagogici”), ma procedendo sempre dall’alto in basso. E un modo per garantire ai visitatori il riconoscimento di oggetti, opere, documenti, tradizioni, conoscenze che sono state scelte e definite da alcuni studiosi, portatori delle discipline accademiche (storia dell’arte, storia, archeologia, etnologia, scienze della terra, tecnologie etc.). Per la maggior parte dei visitatori è una forma di assimilazione culturale alla cultura alta. Come l’apprendimento della lettura o della scrittura a scuola, è importante per garantire una sorta di minimo vitale, ma la cultura “generale” così comunicata è essenzialmente morta, ad eccezione di una certa percentuale di visitatori che hanno ereditato o acquisito codici e chiavi, e che hanno il tempo e i mezzi per farli funzionare. D’altronde, le statistiche mostrano che meno del 10% della popolazione ha accesso a questi saperi, anche solo perché gli altri non ne sentono il bisogno. Restano i turisti che costituiscono la grande massa del pubblico dei musei e dei siti storici, ma questa è un’altra storia, che ha a che vedere piuttosto con curiosità e piacere. Questo è il motivo per cui si può chiamare questa museologia “bancaria”: accumula conoscenze, impressioni ed emozioni su “conti culturali” individuali che sono più o meno dormienti. Solo un numero molto limitato di conti produrrà (creerà o diventerà creativo).

Il museo liberatorio (ecomuseo, museo comunitario, etc.) procede in modo differente. Parte dalla condizione delle persone, nella loro comunità di vita e/o di lavoro, sul loro territorio, dai loro saperi, dalle loro credenze, dalle loro capacità d’immaginazione, d’iniziativa, di cooperazione, per produrre sviluppo sociale, culturale, ambientale, economico. Il patrimonio non è un obiettivo, ma un materiale, uno strumento, un capitale che la comunità impara a conoscere, ad apprezzare per le sue diverse qualità, e a utilizzare o trasformare, per rispondere ai suoi differenti bisogni, collaborando alla pari con le autorità locali. Questa è l’intera questione della sussidiarietà. Conosco molti ecomusei italiani che hanno già ottenuto risultati notevoli rispettando, a volte senza saperlo ma spontaneamente, questo genere di metodi.

(A.S.) Hai affermato che lo sviluppo sostenibile esige una partecipazione consapevole e informata dei cittadini. Ma la democrazia rappresentativa abitua i cittadini a delegare e non a partecipare. Come può essere risolto questo problema ? È per te un problema politico o educativo?

(H.d.V.) È essenzialmente politico e lo si comprende meglio quando si osservano alcuni musei realmente comunitari, come in America Latina, o alcuni musei autoctoni/indigeni in Brasile o in Canada. Esistono solo due modi per raggiungere uno sviluppo locale sostenibile, quindi necessariamente partecipativo, cioè con una co-decisione: o il potere (locale) accetta di essere condiviso con le forze vive della popolazione (la comunità); o la comunità stessa conquista il diritto di condividere la decisione attraverso la negoziazione, la manifestazione o la sanzione elettorale. Il lavoro educativo mira a condurre la popolazione/comunità: 1) a diventare capace di pensare da sola, ad avere fiducia in se stessa, ad appropriarsi del proprio patrimonio e 2) a prendere l’iniziativa e ad affermarsi come soggetto-attore-partner del proprio sviluppo.

(A.S.) A proposito degli ecomusei realmente comunitari dell’America Latina, in cosa si differenziano dagli ecomusei europei?

 (H.d.V.) Sono iniziative prese dalle comunità, spesso con l’aiuto di un facilitatore scelto dalla comunità, che è stato formato. Si può consultare: Cuauhtémoc Camarena y Teresa Morales, Manual para la creación y desarrollo de Museos Comunitarios, Fundación Interamericana de Cultura y Desarrollo, 2009, La Paz (Bolivia).

(A.S.) Leggendo i vostri testi e quelli di Paulo Freire, io ho avuto un’idea che oso condividere con te in modo semplice (forse troppo semplice, quasi un sillogismo). L’educazione nelle scuole è generalmente bancaria. Coloro che hanno ricevuto un’educazione bancaria tendono a proporre una museologia bancaria. In America Latina una certa parte della popolazione non si è adattata ai processi bancari. Questo si ha perché la scolarizzazione è meno diffusa che in Europa? O forse a causa di condizioni socio-economiche e politiche più difficili? O forse semplicemente grazie ad alcuni pensatori libertari come Freire che hanno proposto un’educazione liberatrice? O ci sono motivazioni differenti?

 (H.d.V.) I musei comunitari, i musei indigeni o autoctoni, e anche alcuni ecomusei nascono in luoghi in cui l’educazione formale pubblica è poco sviluppata (l’inizio della primaria) e soprattutto dove la posta in gioco è politica: relazioni con i poteri centrali, problemi dei territori, volontà di salvaguardare alcune forme di cultura o di culto che rischiano di essere distrutte dal “progresso”, etc. Praticamente sono le stesse popolazioni che sono state oggetto delle esperienze di Paulo Freire con i contadini del Nord-Est brasiliano (vedi: L’educazione come pratica della libertà). Questi musei sono dunque strumenti politici.

(A.S.) Nel capitolo “Conoscenza del patrimonio” del tuo libro Le radici del futuro, ci inviti a riflettere sul «concetto di complessità del patrimonio culturale, specchio della complessità della comunità e della sua cultura viva».Tu scrivi che «ogni elemento del patrimonio culturale è frutto di una complessa alchimia tra gli individui, il loro ambiente, le interazioni con gli altri individui e altri ambienti, le influenze esterne». Sono dichiarazioni di un considerevole interesse, che mi ricordano il pensiero del sociologo e teorico della complessità Edgar Morin. Anche Morin è molto interessato alle questioni educative e adotta anche lui una prospettiva multidisciplinare.

 (H.d.V.) Non ho letto quasi nulla di Edgar Morin, soltanto alcuni articoli nei giornali (io non sono affatto colto e non ho una formazione universitaria). Io reagisco e scrivo sulle mie osservazioni e sulle mie pratiche e non posso confrontare le mie idee con quelle degli intellettuali. Alcune mie frasi possono sembrare profonde, tanto meglio, ma non è intenzionale…

 (A.S.) Un’ultima domanda. Nei tuoi saggi e articoli l’influenza del pensiero di Freire è evidente quando parli di trasformazione, di cambiamento. Quando un essere umano è ben educato (coscientizzato), è pronto a trasformare la realtà, non soltanto a cercare di conservarla così com’è. È anche un concetto politico, non è vero?

 (H.d.V.) Certamente. La realtà, come il patrimonio, è in costante trasformazione. Il patrimonio “decretato” (le collezioni dei musei, i monumenti e i siti classificati) è un tesoro ma è morto poiché si vuole preservarlo eternamente (?) per il suo valore universale (?). Il patrimonio vivo, come la cultura viva, evolve con noi, è utile, può scomparire, servire ad altro, mutare il proprio significato, persino perdere il proprio senso di patrimonio in seguito a cambiamenti nei gusti e nei bisogni di una nuova generazione. Prendersi cura del patrimonio non significa solo conservarlo intatto, si tratta di renderlo utile.

(traduzione dell’intervista originale in lingua francese del 03-05/08/2019)