Che caciara! (di Patrizia Carucci)

I coresi hanno sempre vissuto lavorando la terra, una comunità radicalmente contadina, non sono mai stati pastori.

Dagli inizi del Novecento però si sono insediati in pianta stabile diverse famiglie dedite alla pastorizia come i Giansanti, i Toselli, Lenzini, Cipriani, Tagliaferri, Battisti, Raponi, Giordani, Fontana, Restante, Caprara, Marchioni. Tutti sono stati pastori transumanti, provenienti dai paesi della Ciociaria, Supino, Morolo, Carpineto, Guarcino, Gorga, Filettino, che giunti sul territorio corese sono diventati per lo più stanziali grazie al buon clima e l’abbondanza di pascoli.

La transumanza è una pratica di migrazione stagionale di greggi, mandrie e pastori in differenti zone climatiche lungo le vie seminaturali dei tratturi. In Italia viene ancora praticata nelle regioni del Centro e del Mezzogiorno e anche nell’area alpina, in Val Senales e in Alto Adige, dove lo spostamento avviene in verticale col cambio quota dell’alpeggio a differenza del Centro-Sud dove invece i pastori si spostano in orizzontale Est-Ovest.

Nel 2019 l’Italia ha ottenuto un grande risultato: ha presentato la candidatura della transumanza nel patrimonio immateriale dell’ Unesco… e ha vinto!

La proposta è partita dal Molise e l’Italia è stata capofila nel progetto al quale hanno partecipato anche la Grecia e l’Austria. Dalle valli dell’Alto Adige al Tavoliere di Puglia, gli oltre 60 mila allevamenti con 7,2 milioni di capi ovini sono una ricchezza che finalmente ha trovato un riconoscimento internazionale.

Quante volte facendo confusione siete stati ripresi con:
“Ahooo… ma che è ssa CACIARA” oppure “smettàtela de fa CACIARA!”

La parola CACIARA deriva da “caciaia”, cioè il locale dove i pastori producono e lasciano stagionare il formaggio. Le caciare sono diffuse nell’Italia Centrale fra Lazio, Abruzzo e Molise. Si tratta di strutture semplicissime costruite con la nuda pietra senza l’ausilio di malte o cementi, o con assi di legno (in foto).

Ai pastori serviva un luogo pratico da poter costruire con facilità anche per riporre gli attrezzi, rifugiarsi in caso di maltempo e far stagionare il formaggio.

Ma cosa c’entra il formaggio col chiasso? Ebbene, spesso i pastori che raccoglievano il latte per la produzione casearia pare che litigassero fra loro per questioni di appropriazione indebita delle scorte, sbagli delle miscele di latte che conferivano alla caciaia, errori nei pagamenti. Da ciò nascevano discussioni accese e risse anche violente. Da qui è scaturito il modo di dire “stíte a ffa na caciara”. Non solo… nella caciara i formaggi venivano “schiaffeggiati” e rivoltati sulle assi di stagionatura e ciò produceva molto rumore. Da qui la definizione di “caciara” come luogo chiassoso.

Nell’Agro Pontino bonificato la caciara stava a Pantanaccio. Lì vicino c’era l’unica osteria di Littoria dove i pastori provenienti dalla Ciociaria, assetati, si rifocillavano e dai a far caciara… come racconta Pennacchi nel suo famoso romanzo “Canale Mussolini”.

Patrizia Carucci, amministratrice del gruppo Cori Mé Bbéglio

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